La luce autunnale del mattino s’insinua attraverso la finestra della cucina mentre le mani di Martha Cardinal s’intrecciano con gli sbuffi del fumo della salvia. I movimenti della donna, 76 anni, sono misurati. Allunga un braccio per attirare il fumo sopra la testa e muove la salvia intorno alla sua corporatura minuta. Poi chiude gli occhi, come se stesse pregando. Questo è il suo rituale quotidiano di fumigazione, e ogni suo respiro è un atto di riappropriazione. Una volta concluso il rito, apre gli occhi, si sistema sulla sedia in legno della cucina e dice: “Mi sento bene”.
L’anziana indigena del popolo cree vive nella riserva di Saddle Lake, nel centro della provincia canadese dell’Alberta, insieme alla figlia, al genero e a quattro dei suoi nipoti. La loro è un’abitazione vivace, è dietro un boschetto di pini e aceri dalle sfumature giallo e arancione.
Cardinal è una sopravvissuta al sistema delle scuole residenziali indigene canadesi e alla sixties scoop (la retata degli anni sessanta). Dagli anni settanta dell’ottocento alla fine del novecento il Canada ha gestito un sistema di scuole ecclesiastiche e statali che allontanavano decine di migliaia di bambini indigeni dalle loro famiglie, comunità e culture con l’intenzione di cancellarne le lingue, le pratiche spirituali e le identità. In queste scuole gli abusi erano all’ordine del giorno e migliaia di bambine e bambini non riuscirono a sopravvivere.
La sixties scoop è stata un’estensione del sistema delle scuole residenziali e rimase attiva tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni ottanta, quando i servizi sociali portarono via con la forza migliaia di piccoli indigeni dalle loro case e li trasferirono a famiglie affidatarie o adottive non indigene, spesso distanti dalle comunità d’origine. Il tutto faceva parte di una politica governativa volta ad assimilare le popolazioni indigene alla società canadese. Le autorità giustificavano la loro condotta dicendo di voler risparmiare ai bambini una vita di povertà e presunta incuria.
Cardinal aveva dieci anni quando la portarono via. Ma già un anno e mezzo prima l’aveva colpita una tragedia.
Martha Cardinal è cresciuta nella Frog Lake Cree Nation, una riserva circa cento chilometri a est di Saddle Lake. Ricorda un’infanzia idilliaca, passata a raccogliere bacche e a pescare nel lago. La sua famiglia era povera, ma potevano contare l’uno sull’altra. Sua madre era il collante che li teneva insieme. Il giorno che la sua vita cambiò “era soleggiato”, ricorda. Stava giocando nella boscaglia con i fratelli e le sorelle quando sentirono del trambusto. Poco dopo videro la madre che veniva portata fuori da casa e messa sul calesse di un vicino. “Prima di andarsene mi disse: ‘Bambina mia, prenditi cura dei fratelli e delle sorelle’”, racconta. Quella sera il padre tornò a casa da solo. La madre era morta di aneurisma cerebrale. Aveva 27 anni e lasciava nove figli di età compresa tra uno e undici anni. Cardinal era la secondogenita. Il suo sguardo si allontana fuori della finestra della cucina verso una fila di alberi e un campo di grano, mentre dice: “Mi sono sentita abbandonata”.
Crisi familiare
Sopraffatto dal dolore, il padre, che aveva solo 28 anni, faticava a prendersi cura della famiglia. Perciò Martha si sostituì alla madre accudendo fratelli e sorelle più piccole, lavandoli e dandogli da mangiare, mentre il fratello maggiore Stanley si accertava che non succedessero guai. “Mio padre era sconvolto, perché non parlava neppure di nostra madre. Questo era il suo modo di affrontare la cosa. Poi cominciò a bere”, dice. La famiglia entrò in crisi. Intervennero i servizi sociali. I vicini avevano notato che i bambini si assentavano da scuola ed erano spesso affamati.
Poi un giorno, circa un anno e mezzo dopo la morte della madre, due assistenti sociali si presentarono a casa e fecero salire i bambini su un’automobile. Quel momento è impresso nella memoria di Martha. Ricorda che suo padre le disse: “Stai andando in un posto con delle persone, starai con loro per un po’”.
Nel 2008 il primo ministro canadese, Stephen Harper, ha chiesto scusa ai sopravvissuti delle scuole residenziali
I bambini furono assegnati a diverse famiglie affidatarie. Martha e altre due sorelle minori alla fine andarono a vivere presso una famiglia di nativi nella riserva di Saddle Lake. Lei ha la voce rotta mentre descrive la loro esperienza in quel posto. “Era solo alcol e litigi. Eravamo trascurate. A volte restavamo senza cibo, ci davano solo gli avanzi”. E aggiunge: “Eravamo bambine. Ma per loro eravamo solo un assegno a fine mese”.
Nel frattempo suo padre cercava di riottenere la custodia dei figli. Martha, i fratelli e le sorelle partecipavano alle udienze ma il giudice, racconta, non voleva cedere. A quel punto il padre implorò il magistrato di far almeno stare i bambini con famiglie indigene così che non perdessero la loro cultura. Lui accettò.
Ben presto Cardinal e le sue sorelle minori furono mandate a circa 180 chilometri a sud, alla Poundmaker indian residential school, vicino a Edmonton. Quasi subito nella scuola residenziale, gestita dalla chiesa cattolica, le tagliarono i lunghi capelli neri, recidendo il legame con la cultura che sua madre le aveva tramandato, spiegandole l’importanza dei capelli mentre glieli intrecciava. Le fu proibito di parlare la lingua cree e comunicare con le sorelle.
Cardinal ricorda una volta che suo padre venne a trovarle a scuola. Diede a ciascuna di loro cinque centesimi per comprare delle caramelle, ma sembrava diverso da come lo ricordava. Più tardi seppe che viveva per strada a Edmonton e soffriva di alcolismo.
Dopo un anno, le sorelle furono nuovamente trasferite a nord per frequentare la Blue Quills indian residential school, vicino a St. Paul e alla riserva di Saddle Lake. Lì gli abusi fisici e verbali erano anche peggiori. Ed erano costanti. Il momento peggiore era la notte. Le suore entravano nella camerata, che Cardinal condivideva con più di duecento ragazze, e portavano via alcune di loro. “Mi chiedevo dove le portassero”. In breve tempo lo scoprì. Le parole escono strozzate: “Le portavano a subire delle molestie”. Dopo una pausa, Martha continua: “Andavamo nell’ufficio del prete e lui ti toccava. E tu stavi lì, paralizzata. Mi sentivo sporca”, dice.
Le lacrime di Cardinal seguono le rughe del volto mentre spiega che solo da adulta ha saputo che anche sua sorella era stata violentata. “Non sapevo che succedeva anche a lei, e lei non sapeva che accadeva a me”, dice.
Martha ha anche altri ricordi cupi della scuola. “C’era un armadietto sotto le scale. Le suore mi rinchiudevano lì dentro con una coperta”. Era la punizione per aver rubato da mangiare dalla cucina: “Molte bambine lo facevano”. Martha veniva tenuta dentro l’armadio tutta la notte e restava senza cena e colazione. “Imparai che dovevo fare quello che dicevano loro, perché non volevo più tornare lì dentro”, racconta. Oggi ha ancora paura del buio.
Mentre erano in quella scuola, Cardinal e le sue due sorelle furono affidate a un’altra famiglia, che in seguito le adottò. All’inizio trascorrevano solo le vacanze scolastiche a casa loro nella riserva di Saddle Lake. Poi un giorno la madre affidataria le portò via dall’istituto. Erano state lì per tre anni. “Credo che la beata Vergine mi abbia protetto”, dice mentre con le sue dita deformi, rese così dalle percosse che le suore le infliggevano con un righello di legno, ricalca il contorno di un tatuaggio della Vergine Maria e di un rosario che ha sulla spalla.
La vita migliorò un po’ con la nuova famiglia. “La madre affidataria si prendeva cura di noi”, racconta descrivendo una donna severa che insegnò alle bambine come andare a prendere l’acqua e lavare i piatti. Ma i traumi la seguivano. Subito dopo essersi trasferita, un parente della famiglia cominciò ad abusare sessualmente di lei. E andò avanti per anni.
Cardinal curva leggermente le spalle mentre sospira con forza: “Non l’ho mai detto alla mia madre adottiva. Non volevo che, una volta saputa questa cosa, mi trattasse in modo diverso”. La vicinanza tra lei e i genitori adottivi durò fino alla loro morte, negli anni ottanta. “Ci davano da mangiare, ci vestivano e ci facevano andare a scuola. La domenica ci portavano a vedere il baseball, e quando c’era una danza del sole (un rituale praticato da diverse nazioni indigene) andavamo insieme, come una famiglia”.
L’orgoglio per le radici
I genitori adottivi la aiutavano anche a riconnettersi alla sua cultura. Con loro imparò nuovamente la lingua cree e cominciò a partecipare al powwow, un raduno locale delle tribù native, all’inizio solo come spettatrice. Il ritmo dei tamburi risvegliò qualcosa in lei, ripristinando una connessione che credeva persa. Quel suono faceva “parte del processo di guarigione”. Lentamente riacquistò un senso di orgoglio per le sue radici e si riappropriò di quell’identità che le era stata sottratta da bambina. La nonna adottiva materna le insegnò anche come funzionano le cerimonie tradizionali e dove raccogliere le piante medicinali.
Era concentrata sulla sua guarigione e sul processo con cui si stava riconnettendo alla sua cultura quando incontrò John Cardinal, il suo futuro marito. I due avevano una cosa in comune: entrambi erano sopravvissuti delle scuole residenziali. Originario della Saddle Lake cree nation, anche John aveva frequentato la Blue Quills e portava le cicatrici dell’incuria e degli abusi che aveva subìto in quel posto. “Sembrava che potessimo parlare delle stesse cose. Anche lui era smarrito”.
I primi nove anni del loro matrimonio furono felici. La coppia ebbe quattro figli. John fu uno dei primi nativi delle First nations a entrare nella polizia a cavallo canadese nell’Alberta e ricevette molti riconoscimenti per il suo lavoro. Martha s’iscrisse al college e diventò insegnante di sostegno, e in seguito ottenne un diploma per l’insegnamento della lingua cree.
Ma dopo nove anni le cose cambiarono. Dall’esterno la loro sembrava ancora una vita familiare esemplare, ma nel privato erano cominciati gli abusi.
Una cicatrice di circa trenta centimetri sull’avambraccio è il segno lasciato su Martha dalle violenze del marito, che in un giorno di rabbia le ruppe un braccio. “Non mi ha mai detto che mi amava. E probabilmente questo era ciò che gli avevano insegnato nelle scuole residenziali”, dice. “Provai a scappare, ma lui mi diceva ‘Se te ne vai, ti ammazzo’. E lo avrebbe fatto”.
Sono stati sposati per 43 anni. Sul letto di morte, nel 2010, John ha chiesto scusa a Martha “Mi ha detto: ‘Voglio chiederti perdono per quello che ti ho fatto. So che non è stato giusto da parte mia’. E io gli ho risposto: ‘Va bene’. Non sapevo come reagire perché avevo paura di lui”.
Sette mesi dopo c’è stata una nuova tragedia. Il suo sguardo si fa cupo quando indica la foto di un bell’uomo dai capelli scuri in posa con la figlia: “Il mio ragazzo. Era il 2011 quando l’abbiamo perso. Insufficienza epatica. Era in dialisi. È stata la dipendenza dall’alcol a portarselo via”.
Il figlio di Martha, Warren Cardinal, è morto a 42 anni. Lei è entrata in depressione ed è rimasta a letto per mesi. È stata sua figlia a convincerla ad alzarsi e a tornare nella comunità. “La mia figlia più piccola, Marissa, mi ha detto ‘Mamma, devi vivere. Andiamo, vestiti’. E così siamo andate a cena”.
Ben presto Martha ha deciso che era arrivato il momento di affrontare i traumi del passato e la perdita del marito e del figlio. “Ho pensato: ‘Devo guarire’”. Così ha intrapreso un percorso di counseling, ha cominciato a frequentare le cerimonie culturali e si è unita a un gruppo di guarigione di sopravvissuti delle scuole residenziali. E per la prima volta ha condiviso la sua storia con i figli. “Sono una sopravvissuta”, dice posandosi una mano sul cuore.
Poi prende un’altra foto, di lei con uno degli altri tre figli. “Adesso stanno bene”, dice con un sorriso. Ma essere madre non è stato facile. Quando i figli erano piccoli faticava a mostrare affetto. “Ho un buon rapporto con i miei ragazzi, condividiamo tante cose. Ma per me era difficile abbracciarli. Mi chiedevano: ‘Mamma, come mai non ci dai mai un abbraccio? Non ci vuoi bene?’. E io rispondevo: ‘Sì che vi voglio bene’. Non sapevo come farlo. Non mi è mai stato mostrato”, dice. Riflettendo sulla sua infanzia, aggiunge: “Nessuno mi ha mai abbracciato. E crescendo questa cosa mi è mancata”.
Martha è riuscita in parte a guarire da quel trauma recuperando il rapporto con il padre. “Negli ultimi anni aveva smesso di bere”, dice. “Era debole di salute, ma io continuavo a chiedergli della nostra cultura. E lui mi portava ai cerchi di danza, alla sauna rituale. Stava cercando di prendersi cura di me ora che ero più grande. Forse era questo il motivo per cui mi portava alle cerimonie. Avevo perso la mia cultura. E lui cercava di restituirmela”. Stava cominciando a conoscerlo davvero, quando nel 2005, a 72 anni, il padre è morto nel sonno.
Oggi Martha Cardinal tramanda le tradizioni ai suoi quattordici nipoti. Ma per farlo ha dovuto perdonare quelli che hanno abusato di lei. “Ho dovuto pregare per le persone che mi hanno fatto del male”.
Nel 2008 il primo ministro canadese, Stephen Harper, ha chiesto scusa ai sopravvissuti delle scuole residenziali. Nello stesso anno è stata creata la commissione verità e riconciliazione. Per sei anni la commissione ha viaggiato in tutto il paese raccogliendo testimonianze. La chiesa cattolica, con un gesto di portata storica, ha chiesto scusa nel 2022.
Come essere a casa
Martha oggi è in pensione, e passa il tempo a organizzare laboratori di guarigione a Saddle Lake e in altre comunità indigene, e facendo volontariato in una chiesa di Edmonton. “Quello della guarigione è un viaggio che dura una vita”, dice passando le dita su un grosso fascio di salvia essiccata. “C’è voluto tanto tempo”, riflette. “Continuerò a imparare, a tornare alla mia cultura. Adoro quando qualcuno mi parla in cree. È come essere a casa”.
Quest’estate ha partecipato a una cerimonia della danza del sole, che è un momento di rinnovamento spirituale. Durante la danza pioveva a dirotto, ma Martha racconta che a un certo punto il cielo le si è aperto in una visione del padre. “Mentre ballavo, l’ho visto. Guardava in basso. Ho pensato che papà era felice, che lo stavo facendo per lui, e per tutti gli altri. Non voglio restare intrappolata nel passato”, dice. “Ci sono già stata per troppo tempo”. ◆ fdl
◆ 1948 Nasce nella riserva di Frog Lake Cree Nation, in Canada.
◆ 1957 Sua madre muore di aneurisma cerebrale e lei deve badare ai fratelli.
◆ 1958 I servizi sociali portano Martha e i fratelli in una famiglia affidataria e poi in una scuola residenziale.
◆ 2010 Muore suo marito John, che per anni ha abusato di lei.
◆ 2024 Organizza laboratori per aiutare le persone vittime delle scuole residenziali.
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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati