Cultura Suoni
Donda
Kanye West (Mark Boland, Getty Images)

Quaranta giorni dopo aver annunciato il suo decimo album, il 29 agosto Kanye West ha finalmente pubblicato Donda, anche se poi ha detto che la Universal l’ha messo in commercio senza la sua autorizzazione. Donda è molto più cupo del precedente Jesus is king, e alterna temi legati alla fede con i riflessi del vecchio Kanye. È un disco molto lungo, con un elenco vertiginoso di ospiti, alcuni dei quali aiutano West a creare le gemme più brillanti: Jay-Z arricchisce la reunion in stile Watch the throne di Jail; i Lox compaiono in Jesus lord; Playboi Carti e Fivio Foreign si mangiano Off the grid. Questi pezzi sono tra i migliori pubblicati da West negli ultimi anni. Tuttavia quando ci sono così tanti chef in cucina a volte si fa confusione, soprattutto quando non c’è Ye dietro al microfono. La mole di ospiti e la genesi complicata del disco hanno impedito a Donda di essere la miglior cosa possibile. Far ascoltare al pubblico tre versioni diverse dei pezzi durante gli streaming pubblici che si sono tenuti nei giorni scorsi negli stadi di Atlan­ta e Chicago non è stata una buona idea. L’energia che Kanye trasuda in _Donda _si sente, ma il disco poteva essere molto meglio.

Riley Wallace, Exclaim

Welcome 2 America

Sei anni prima della sua morte, la carriera di Prince era in una strana situazione. Aveva recuperato la sua indiscussa supremazia come artista live, ma l’attività in studio sembrava essere meno irreprensibile. Era incastrato in un giro vizioso di uscite mediocri: Planet Earth, Lotusflow3r, MPLSound, 20Ten, a volte distribuite attraverso grandi catene di supermercati o date via come allegato dei giornali. La notizia quindi che la nuova uscita postuma di Prince sia una serie di pezzi inediti del 2010 può lasciare freddi. Eppure al primo ascolto non si può non rimanere stupefatti: Welcome 2 America è una raccolta di ottime canzoni impegnate politicamente. Spesso s’ispira al soul dei primi anni settanta, soprattutto all’epoca d’oro di Curtis Mayfield. A questo punto viene da chiedersi: perché Prince non ha voluto che questi pezzi uscissero nel 2010? Forse perché sapeva che in quella fase della sua carriera la roba bella doveva tenersela stretta. E in un certo senso ha avuto ragione: il contesto storico non è cambiato granché, è più turbolento che mai, e il culto postumo di Prince garantisce a queste canzoni lo spazio che davvero meritano. Alexis Petridis,The Guardian

The ultra vivid lament
Manic Street Preachers (alex lake)

Rassegnazione e rivoluzione, disperazione e ribellione. Per i Manic Street Preachers l’attrito fra questi estremi è da sempre una scintilla propulsiva. Dall’ultimo Resistance is futile sono passati tre anni di lutti familiari, covid-19, con il fallimento dei Tory e l’arrivo della mezza età. Così il loro ultimo lavoro ha come obiettivo una missione generosa: nella sua profonda malinconia svetta per i colori pop, grandiosi, anzi, ultra vividi. Se il mondo ci offre pochi motivi per entusiasmarci, la band gallese vuole galvanizzarci con grandi canzoni pop ispirate dai Clash, da Lodger di Bowie, Echo & The Bunnymen e i Simple Minds. Ma, nonostante i riferimenti, i Manic sanno essere solo loro stessi e da questa risorsa costante rilasciano una potenza da scoprire traccia dopo traccia. The ultra vivid lament è ricco come non mai, con le chitarre luminescenti della serena e stoica Diapause o l’interludio vocale di Into the waves of love, dove riecheggiano i R.E.M. In Blank diary entry Mark Lanegan duetta splendidamente con James Dean Bradfield, portando un peso che solo lui può offrire. Anche se il gruppo non abbandona mai le sue battaglie, sa illuminarle con un’acutezza che non vacilla mai. E se dobbiamo finire nell’abisso, perché non sceglierci i Manic Street Preachers come compagni di viaggio?

Record Collector

Kosenko, Skrjabin: musica per piano

Immaginate di voler ascoltare un po’ di musica per pianoforte russa di fine ottocento/inizio novecento, e di non riuscire a decidervi tra Skrjabin e Rachmaninov. Ho una soluzione: provate con gli 11 studi op. 8 di Viktor Kosenko (1896-1938), la cui fluida padronanza della scrittura pianistica rivela l’influenza di entrambi i compositori. Qui Igor Gryshyn ci offre la seconda integrale su disco di questi pezzi, la migliore per la leggerezza del tocco, l’agilità e i tempi generalmente più rapidi. I quattro preludi op. 22 e la quarta sonata di Skrjabin non mantengono altrettanto le promesse. Questo album merita attenzione soprattutto per Kosenko.

Jed Distler, Classics Today

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1425 - 3 settembre 2021
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