Cultura Schermi
Dau. Natasha
Natalia Berezhnaya
Germania / Ucraina / Regno Unito / Russia 2020, 138’. In sala

Da un certo punto di vista, Dau. Natasha è un resoconto brutale, crudo e repellente della vita di una donna (inventata) che lavora nella mensa di un istituto di ricerca scientifico a Mosca, nella Russia di Stalin, diretto dal fisico teorico Lev Landau (soprannominato “Dau”). Ci vengono mostrati i rapporti di Natasha con la sua collega Olga e anche quello che succede nella Stanza 101, in tutto il suo orrore e lo squallore. Il film, tuttavia, non può essere giudicato come un’opera cinematografica normale, ma come parte di un insieme gigantesco: un colossale progetto di installazione artistica multimediale che ha richiesto 15 anni di lavoro ed è già entrata nella leggenda se non altro per le similitudini con il film del 2008 di Charlie Kaufman Synecdoche, New York. Tutto è cominciato nel 2006 con una biografia convenzionale di Landau. Poi il regista Ilja Chrschanowski ha cambiato idea. In Ucraina era stata costruita una replica dell’istituto con l’unico scopo di girare gli esterni. Chrschanowski ha fatto completare anche gli interni, stanza per stanza. Quindi l’ha riempito di attori che ci hanno vissuto e “lavorato per mesi, tagliati fuori dal mondo, in una continua improvvisazione che ha generato storie originali e autonome intorno alla trama centrale. Dal progetto Dau sono venuti fuori 13 film, dodici dei quali sono stati proiettati nella mostra immersiva Dau, allestita a Parigi. Dau. Natasha è il primo della serie a essere proiettato in un cinema come se si trattasse di un film normale. Senza entrare nei dettagli della trama, si può dire che uno dei pregi del film è di mostrare in che bizzarro modo, specialmente nelle società totalitarie, il normale e l’abnorme, il banale e il grottesco, l’umano e il disumano convivano a stretto contatto gli uni con agli altri.
Peter Bradshaw,The Guardian

Il gioco del destino e della fantasia

Le storie brevi non sempre godono del rispetto che meriterebbero e i cortometraggi – che l’industria ha ritenuto più facile ignorare invece d’impegnarsi a trovare il modo per renderli redditizi – non godono di alcun rispetto. A meno che tre di loro non siano confezionati insieme per sembrare qualcosa di diverso, come tre bambini uno sopra all’altro che s’infilano un cappotto per sembrare un adulto. Il seducente Gioco del destino e della fantasia è un delizioso trittico di vignette autonome (ognuna con i suoi titoli di coda) legate da una comune fascinazione per la memoria, le coincidenze e le verità profonde che le bugie superficiali possono rivelare. Paradossalmente il film intero vale più della somma delle sue parti proprio per il modo in cui sono trattate le storie brevi, liberate da logiche pedanti: guardando il mondo da una lente così ristretta – un periscopio più che un grandangolo – dei colpi di scena che in un lungometraggio potrebbero sembrare scorciatoie della sceneggiatura dimostrano immediatamente l’autorità dei dati di fatto. David Ehrlich, IndieWire

Falling. Storia di un padre
Lance Henriksen, Laura Linney
Stati Uniti / Canada / Regno Unito 2020, 112’. In sala

Di recente i drammi sulla demenza stanno vivendo una curiosa popolarità. Anthony Hopkins, Bruce Dern e Javier Bardem si sono cimentati nel ritrarre una mente che va in pezzi accanto a molti altri attori. Ma l’interpretazione di Lance Henriksen in Falling. Storia di un padre è sicuramente una delle più impegnative da sostenere e delle più difficili da guardare. Nei panni dell’irascibile e bigotto Willis, l’attore è una piaga che trasuda intolleranza e invettive. Henriksen è il cuore in fiamme di un film che si rivela più coinvolgente (e complicato) di quanto ci si poteva aspettare. Willis è costretto a trasferirsi dal figlio John (Viggo Mortensen) che vive con il marito Eric e la figlia. Dei lunghi flashback ci mostrano che Willis non è mai stato un padre amorevole, ma la malattia e la senilità lo hanno reso un mostro. John tuttavia risponde agli abusi con calma rassegnazione. Alcune scene graffiano come carta vetrata, altre sono così tenere che destabilizzano. Insieme raccontano una storia molto specifica, quasi inspiegabile, che si sforza di conciliare il padre che abbiamo con quello che abbiamo sempre desiderato. Jeannette Catsoulis, The New York Times

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1424 - 27 agosto 2021
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