La dea del grunge Shirley Manson e il suo gruppo di ottimi wisconsiniani tornano con il loro settimo album e si tuffano nei temi politici che avevano evitato negli anni scorsi. L’avidità è l’argomento del primo pezzo, il dinamico The men who rule the world, punteggiato da suoni di slot machine e campionamenti techno. La canzone fa riferimento al #MeToo – “Il re è nell’ufficio finanziario, è il presidente dell’azienda, le donne che affollano i tribunali sono accusate di essere delle puttane” – e si chiude con un appello per la salvaguardia del clima. Waiting for god ha elementi letterari e trascendentali alla Nick Cave, pur restando ben radicata nella realtà sociopolitica di oggi. Con il suo suono industrial fitto di sintetizzatori e la voce di Manson più graffiante che mai, Waiting for god è il pezzo che definisce tutta la seconda parte del disco. Ascoltare No gods no masters è come sentire i Garbage per la prima volta. Ed è una prospettiva elettrizzante.
Chloe Waterhouse,Clash
I Migos, mostro a tre teste della trap statunitense, hanno ritardato l’atteso terzo e ultimo capitolo della loro trilogia Culture a causa della pandemia e perché ognuno di loro voleva dedicarsi al suo progetto solista. Ora Culture III è finalmente arrivato e offre tutto quello che i fan del trio si aspettano, nel bene e nel male. Il disco si apre con Avalanche, che campiona la hit del 1972 Papa was a rolling stone dei Temptations, raccontando storie autobiografiche di madri single e dei diamanti grossi come pietre che i Migos ora portano al collo. È un pezzo che ha ricevuto elogi anche da Jay-Z. La barcollante Having our way vede la partecipazione di Drake, che ormai possiamo considerare il quarto Migos. Straightenin ha uno stile familiare, mentre Malibu, dov’è ospite Polo G, fa miracoli grazie al beat di Pooh Beatz. Il problema è che Culture III soffre dello stesso problema (anche se in misura minore) che affliggeva il doppio disco Culture II del 2018: con 75 minuti e 19 tracce, è semplicemente troppo lungo.
Luke Fox, Exclaim!
Alessandro Cortini, un chitarrista rock trasformatosi in esperto di sintetizzatori, è noto come componente di vecchia data dei Nine Inch Nails. Mentre suonava nel gruppo si è costruito una reputazione nella musica ambient, drone e noise, generi che hanno definitivamente influenzato la sua carriera solista. Se il precedente Avanti partiva dal Buchla Music Easel, un vecchio sintetizzatore reso famoso da Brian Eno, la tavolozza di Chiaro scuro si sviluppa su un unico strumento costruito da lui: lo Strega. Cortini ha caricato dentro questa macchina la sua coscienza musicale e ne fa ciò che desidera. Oltre a essere espressione del potenziale dello Strega, Scuro chiaro mette in mostra il meglio del polistrumentista bolognese. Il suono ha una forte coerenza interna, concentrandosi su infinite fluttuazioni di gamme definite. Trova così un ottimo modo per lasciare appese armonie sui ritmi muscolari che esplodono lentamente in spaziosi mondi sonori. Cortini mescola sapienza e improvvisazione. È come un minotauro che si muove nel suo labirinto. Brian Howe, Pitchfork
Le sonate a quattro di Alessandro Scarlatti, scritte verso il 1705 ma pubblicate vent’anni dopo, sembrano prendersi gioco delle abitudini dell’epoca: escludono il clavicembalo e invitano all’esecuzione “al tavolino”, una disposizione in uso per i madrigali. È musica seria ma scorrevole, con una certa rilassatezza nelle danze finali. Scarlatti si permette ogni sorta di sperimentazione, esplorando al massimo il colore di ogni sonata. L’ensemble Les Récréations si conferma sempre generoso ed espressivo, con una sonorità ricca, piena e che mantiene una leggibilità esemplare. Jean-Christophe Pucek, Diapason
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