La riluttanza degli Stati Uniti ad assumersi la responsabilità della loro storia fa pensare che ci vorranno decenni – forse un secolo – perché facciano pienamente i conti con le nefandezze di Guantánamo. Anche se tutti sanno delle torture e delle disumanità che si sono compiute tra le mura del centro detentivo e anche se l’amministrazione Biden ha fatto capire di volerlo chiudere, la struttura è ancora aperta e “ospita” una quarantina di persone. In The mauritanian – che racconta la storia di Mohamedou Ould Salahi (Tahar Rahim) detenuto per quattordici anni a Guantánamo senza processo e sulla base di accuse infondate – un avvocato in visita a un suo assistito, guardando le recinzioni e le barriere di filo spinato si ritrova a pensare che un giorno quel posto diventerà un’attrazione turistica. Ecco uno dei motivi per cui abbiamo bisogno di film come questo, perché non possiamo permetterci che alcune storie siano dimenticate. Kevin Macdonald, noto per la crudezza politica dei suoi film (per esempio L’ultimo re di Scozia o Un giorno a settembre) ha scelto di realizzare una pellicola più convenzionale del solito. Che però ha la sua forza nel modo diretto con cui affronta l’ideologia che ha permesso tutto ciò, un nazionalismo protettivo che ha pochi dubbi e si fa poche domande, rispondendo alla sete di sangue seguita all’11 settembre. Il film si distingue anche per aver dato spazio, voce e profondità a Salahi (la sceneggiatura è basata sul suo Guantanamo diary), una vittima di quell’ideologia, anche grazie a una fenomenale interpretazione di Tahar Rahim. Clarisse Loughrey, Independent
Stati Uniti / Regno Unito 2021, 129’. PrimeVideo

Polonia / Lussemburgo / Stati Uniti 2019, 126’. In sala

Ci sono film che vanno visti al cinema e Valley of the Gods è uno di questi. Intanto perché è un drammone di ampia portata visiva, che si apprezza meglio sul grande schermo. Ma soprattutto va visto in sala con altri spettatori per poter studiare la loro reazione alla fine di un film così strano, bizzarro e inclassificabile, in una parola: folle. All’inizio John (Josh Hartnett) arriva nella Valley of the Gods, luogo sacro dei navajo. Tira fuori una scrivania dal suo furgone, la piazza in mezzo al nulla e comincia a scrivere (a penna). Scopriremo che è un pubblicitario che sta cercando di rimettere insieme i pezzi della sua vita dopo che la moglie l’ha lasciato e ha deciso di scrivere il romanzo che ha sempre voluto scrivere. Anche se non è sicuro, si può presumere che il resto del film sia la visualizzazione della sua opera. Così conosciamo Wes Tauros, l’uomo più ricco del mondo (interpretato da John Malkovich), di cui John è il biografo. Per la critica standard Valley of the Gods è un film inizialmente folle che diventa sempre più folle. La storia, costituita da un prologo e dieci capitoli, è incomprensibile, come se Lech Majewski avesse deciso di unire i film di Terrence Malick e le opere recenti di Wim Wenders. Non si può dire che il film “funzion i ”, ma non importa. Formalmente è magnifico e davvero non ci si annoia. Si arriva così al finale, di cui è meglio non dire niente. Tanto non ci credereste. Peter Sobczynski, RogerErbert.com
Marocco / Francia / Belgio / Qatar 2019, 98’. In sala
Samia, giovane e incinta, cerca disperatamente lavoro e un posto per dormire. Abla, che abita dietro la sua piccola pasticceria, nella medina di Casablanca, inizialmente la manda via. È una vedova scontrosa, madre della piccola Warda, non vuole guai e non ci pensa proprio ad accogliere una ragazza madre. Poi però finirà per offrirle un letto e per accettare il suo aiuto in pasticceria. Insieme a Samia, la musica e la vita rientrano nella casa di Abla. Con questa ode alla sensualità e alla complicità femminile, nascita e rinascita in un gineceo, la regista ci fa capire che crede in un movimento che possa cambiare davvero le cose anche nella società patriarcale marocchina. La sua speranza nel film è incarnata da una bambina meravigliosamente vivace che fa da tramite tra le due donne e le costringe a guardare avanti. Con Adam e il suo modo diretto e sincero di affrontare temi sociali, Maryam Touzani celebra tutte le donne di Casablanca. Guillemette Odicino, Télérama
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