Quattro insegnanti danesi s’imbarcano in un’impresa pseudoscientifica: decidono di vivere in un costante stato d’ebbrezza per vedere se in questo modo riescono a superare le rispettive crisi di mezza età. Chi ha un minimo di familiarità con i film di Thomas Vinterberg può immaginare che Un altro giro non è una commedia ubriaca tipo Una notte da leoni, ma piuttosto una cupa satira che prende di mira le sporche correnti sotterranee della vita borghese. L’esperimento ha ovviamente le sue conseguenze, ma il film non è né una farsa né una provocazione moralistica. Piuttosto è una tragicommedia moderata sul piacere dell’eccesso. Le vicende dei quattro personaggi principali non sono sempre credibili, ma una regia delicata e le meravigliose interpretazioni che insistono invece sull’autenticità creano una mistura di toni accattivante per quanto assurda. Un altro giro è lontano dall’austero naturalismo del Dogma 95 (di cui Vinterberg era uno dei fondatori) ma qualcosa di quell’estetica agile si fa strada e contribuisce all’imprevedibilità e all’indeterminatezza del film. Devika Girish, The New York Times
Danimarca / Svezia / Paesi Bassi 2020, 117’. In sala
Regno Unito / Francia 2020, 97’. In sala
Basato sul pluripremiato dramma teatrale, The father comincia come un dramma che ruota intorno a una dinamica familiare abbastanza comune. Anne (Olivia Colman) sta perdendo la pazienza nei confronti del padre ottantenne Anthony (Anthony Hopkins), che sta perdendo presa sulla realtà ma si rifiuta di essere accudito. Anne sta per trasferirsi a Parigi e vuole assolutamente trovare qualcuno che possa occuparsi di lui quando lei sarà via. Per Anthony la vita è diventata una fonte di confusione ed è sempre più disorientato. Con un colpo di genio Florian Zeller, regista e sceneggiatore del film ma anche autore del dramma originale, racconta la storia dal punto di vista di Anthony, mentre gli altri personaggi e le ambientazioni cambiano, confondendo anche lo spettatore. Anthony diventa quindi così il protagonista di un curioso thriller che esiste nella realtà. È un modo ingegnoso di trasmettere lo stato d’animo di una persona affetta da demenza per cui ogni giorno è un nuovo incubo. Allo stesso tempo il film di Zeller è uno dei migliori adattamenti di un testo teatrale degli ultimi anni. È un’esperienza visiva difficile e brutale: per l’argomento, per le scelte narrative e per l’incredibile interpretazione di Anthony Hopkins. Benjamin Lee, The Guardian
Stati Uniti 2021, 100’. Netflix
La donna alla finestra è quello che Cher Horowitz di Ragazze a Beverly Hills definirebbe un “Monet”: “Da lontano è ok, ma da vicino è un vero disastro”. La regia è di Joe Wright (Espiazione); la sceneggiatura è del premio Pulitzer Tracy Letts, che ha anche un piccolo ruolo nel film; e il cast è impressionante. Nella trama apertamente hitchcockiana, una psicologa agorafobica (Amy Adams) mantiene i contatti con l’esterno spiando i vicini dalla finestra. Ma quando assiste a un omicidio, nessuno le crede. Nonostante alcune pregevoli scelte del regista, la produzione ha avuto grandi problemi fin dall’inizio ed evidentemente non sono stati risolti. A peggiorare le cose c’è stato anche un articolo del New Yorker del 2019 secondo cui Daniel Mallory, autore (con lo pseudonimo AJ Finn) del best seller a cui è ispirato il film, è un bugiardo incallito (ha mentito sul suo stato di salute, sulla morte della madre e sul suicidio del fratello per farsi pubblicità) e ha rubato molti spunti per il suo thriller dal film Copycat. Clarisse Loughrey, Independent
Francia 2019, 85’. In sala
In un paesino del nord della Francia, dopo una rissa in campo, tutti i giocatori di una squadra di calcio locale sono sospesi. L’allenatore non sa come finire la stagione, poi la figlia gli dà l’idea di schierare le donne del paese. Mohamed Hamidi racconta una storia di amicizia e solidarietà con un cast solido che dà l’idea di essersi divertito molto durante le riprese. Le Figaro
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