Il cantante maliano Salif Keïta ha avuto una carriera lunga e illustre, dagli esordi con la Rail Band negli anni settanta fino alla fama internazionale. Affetto da albinismo fin da bambino, ha trovato rifugio nella musica. Oggi, ormai settantenne, conserva una voce fluida, capace di librarsi con grazia su trame complesse di chitarra ritmica. Non sorprende che sia soprannominato “La voce d’oro dell’Africa”. Keïta si esibisce spesso con formazioni numerose: file di percussionisti, più strumenti a corda e cori femminili carichi di energia. Anche se la versione orchestrale della sua arte è affascinante, è altrettanto prezioso ascoltarlo in una veste più intima. So kono è stato registrato principalmente in una stanza d’albergo in Giappone, con Keïta accompagnato solo da una chitarra acustica e da minimi interventi di ngoni (uno strumento a corde), percussioni e violoncello. Questa semplicità conferisce ai brani una forza emotiva diretta e toccante, come nella traccia Kanté Manfila. Il brano è un omaggio al suo storico collaboratore Kanté Manfila, chitarrista virtuoso e leader degli Ambassadeurs Internationaux. Anche senza comprendere le parole, si percepiscono calore, tristezza e consapevolezza della mortalità. So kono mette Salif Keïta al centro. Riduce il rumore e il clamore intorno a una delle voci più belle dell’Africa, permettendoci di ascoltare, nella sua forma più pura, l’anima di un artista davvero straordinario.
Jennifer Kelly, Dusted


Sono passati trentacinque anni dall’ultima volta che Dean Wareham e Mark Kramer sono entrati in studio per registrare un album dei Galaxie 500. Per il nuovo lavoro solista di Wareham i due si sono ritrovati dove si erano lasciati. In That’s the price of loving me il suono della chitarra e la scrittura fantasiosa del musicista sono sempre presenti, ma accompagnati dai vari accessori di Kramer: il piano, l’armonium, la celesta e i sintetizzatori. Così Wareham dimostra ancora una volta il suo talento. La pandemia gli ha dato del tempo per riflettere sui rapporti personali. Nonostante non lavorassero più insieme, i due musicisti sono rimasti in contatto e hanno registrato il disco in soli sei giorni a Los Angeles, affiancati da Britta Phillips, moglie di Wareham e sua collaboratrice. L’album segna quindi la reunion di due amici, legati da una connessione speciale, grazie alla quale la scrittura di Wareham prende vita con arrangiamenti sofisticati, mischiando aneddoti personali e digressioni politiche più stralunate. Se a sessant’anni riesce a produrre un lavoro del genere, poche cose lo potranno ostacolare.
Brandon Miller, Pop Matters
Melchior Franck (1579-1639) è stato uno dei compositori più prolifici del tardo rinascimento: un migliaio di pezzi, tra i quali circa seicento mottetti d’ispirazione liturgica in lingua volgare. Franck importa molte innovazioni stilistiche dall’Italia e diventa uno dei maestri tedeschi della seconda pratica. La sua carriera, contrariamente a quella del suo contemporaneo Heinrich Schütz, non si estese fuori dal territorio tedesco, dov’era nato. Dopo la fine della guerra dei trent’anni, Franck diventò maestro di cappella a Coburgo, in Baviera. La raccolta Melodiæ sacræ (1607) contiene 35 mottetti eseguiti, seguendo il trattato Syntagma musicum di Michael Praetorius, con gruppi misti vocali e strumentali. La registrazione del disco è stata fatta alla Johannes-kirche di Weimar, uno spazio ideale per questi pezzi a più cori, cantati con fervore dal Cantus Thuringia. Gli attacchi sempre arrotondati sono bilanciati dal timbro tagliente dei soprani. E con gli strumenti (violini, viole, tromboni, dulciana e cornetto) e la sempre ottima direzione di Christoph Dittmar ci offrono una piacevolissima varietà di tessiture.
Jérémie Bigoire, Diapason
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