Julien Baker, componente del trio alt-rock Boygenius, e Torres, nome d’arte di Mackenzie Scott, vengono spesso paragonate: entrambe sono cresciute nel sud degli Stati Uniti, entrambe sono queer provenienti da famiglie cristiane devotissime e immerse nella cultura della musica country. Pur avendo inizialmente respinto l’etichetta di “musiciste queer del sud” e avendo stili solisti molto diversi, i loro temi affini le rendono complementari. Nel loro progetto congiunto, Send a prayer my way, evitano il country-pop alla Shania Twain o alla Chappell Roan, preferendo un suono più classico e familiare. Le canzoni sono avvolte da archi caldi, chitarre delicate e voci intrecciate. Il disco abbraccia la struttura narrativa e i canoni lirici tradizionali del country. In un momento in cui il country-pop spopola – basti pensare a Cowboy Carter di Beyoncé – Baker e Scott s’ispirano a figure storiche come Loretta Lynn e Tammy Wynette. Tuttavia, i canoni del genere non valorizzano sempre il loro talento lirico: in Tuesday, la velocità e le sillabe forzate rendono alcuni versi troppo compressi. Ma Send a prayer my way brilla altrove per ironia e affetto verso il country: in Tape runs out, Baker ironizza cantando: “Non ho mai trovato un peccato che non volessi provare”, mentre Goodbye baby comincia con una battuta sconcia non detta. Sylvia sembra una ballata romantica, ma è dedicata al cane adottato da Scott, ispirata da Dolly Parton. Pur non avendo l’impatto immediato delle loro carriere soliste, questo album è un’esplorazione fresca e originale di un genere che sta vivendo una rinascita.
El Hunt, Nme


Nonostante dia l’impressione di un personaggio distaccato, la cantautrice britannica di origine tedesca Anika ha sempre dato alle emozioni un ruolo centrale. Questo succede ancora di più nel suo nuovo album. Se in passato aveva parlato di problematiche legate al cambiamento climatico e alla politica globale, in Abyss sembra averne fin sopra i capelli. Insieme a Martin Thulin, con lei già nel progetto Exploded View, incanala le sue frustrazioni in un’attitudine grunge, mantenendo però un’eleganza grezza che rende ancora più accattivante quello che vuole dire. In Abyss la musicista britannica porta abbastanza varietà da non risultare mai prevedibile. Lascia che il personale fluisca nel politico, con una scrittura semplice e un suono post-punk. È un disco che esprime il conflitto sia urlando sia con la quiete e che testimonia l’orgogliosa indipendenza della sua autrice.
Heather Phares, All Music
Michel Béroff si è sempre dedicato soprattutto alla musica del novecento. Nel 1968 la Emi lo invitò a registrare il Quatuor pour la fin du temps di Messiaen e da allora al 1994 Béroff ha costruito una discografia ampia e appassionante. Tra i dischi fondamentali c’è quello dedicato alle opere per piano solo di Bartók: il pianista affronta questa musica austera con autentico sentimento. Di Stravinskij, con l’Orchestre de Paris diretta da Seiji Ozawa, ci sono Capriccio, gli aforistici Mouvements e il concerto per pianoforte e fiati: le esecuzioni su disco di questo livello si contano sulle dita di una mano. Vale la pena di soffermarsi su Messiaen, soprattutto per i Vingt regards sur l’enfant-Jésus e la sinfonia Turangalîla. Sensazionali i concerti di Prokofev con l’orchestra della Gewandhaus di Lipsia diretta da Kurt Masur, come i dischi di Debussy (Estampes, Images e Préludes, e degli Études all’altezza di quelli di Pollini). Anche la musica da camera è ottima (sonate per violino di Brahms con Augustin Dumay, di Prokofev con Pierre Amoyal e di Schumann, Franck, Richard Strauss e Szymanowski con Ulf Hoelscher). Ed è prezioso l’album French piano duets insieme a Jean-Philippe Collard. Dappertutto l’intensità dell’interpretazione è unita a un rigore implacabile.
Patrick Szersnovicz, Diapason
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