Cultura Suoni
Vulture prince
Arooj Aftab (Diana Markosian)

Con ogni nuovo progetto, la cantante e compositrice di Brooklyn Arooj Aftab, nata in Pakistan, ha rivelato un lato diverso della sua personalità musicale. Il nuovo disco Vulture prince è la sua opera più convincente: una meditazione sul concetto di perdita, a partire dalla più terribile, quella del fratello minore Maher, morto mentre Aftab componeva le canzoni del disco. Eppure questi pezzi non suonano mai funerei o pessimisti, grazie all’ariosità intrinseca dalla voce di Aftab e alla limpidezza degli arrangiamenti. La musica parte dal materiale del suo debutto del 2014, Bird under water, ma con una maggiore padronanza della materia. Aftab usa testi classici in lingua urdu tratti dai tradizionali ghazal (poemi, recitati o cantati, dedicati alla persona amata), come succede in Mohabbat. La compositrice evita la strumentazione tradizionale – anche se le sue frasi allungate a volte ricordano il folk pachistano – lavorando invece con un cast superbo di musicisti fluenti nel jazz, nella musica classica contemporanea e nel folk, permettendo alla sua voce meravigliosamente meditativa di fluttuare libera. L’adattamento di Aftab di un poema di Rumi in Last night ricorre a un’ambientazione reggae sorprendente, ma il suo canto misurato evita che questo sia fuori luogo. La rapida crescita artistica di Aftab suggerisce solo che in futuro la aspettano risultati ancora più grandi. Peter Margasak, Bandcamp Daily

Kingdom of oblivion

Dappertutto si sente ripetere che l’indie rock è morto, ma non è vero. In realtà si è rintanato in Norvegia. E chi dice che in fondo è la stessa cosa, evidentemente non è mai stato a un concerto dei Motorpsycho. Eppure ne avrebbe avuto l’occasione prima della pandemia, visto che la band norvegese è in pista dal 1989 e da allora ha portato la sua musica in giro per tutto il mondo. Comunque adesso si può rimediare ascoltando il loro ventiquattresimo album, Kingdom of oblivion. Basta sprofondare, per esempio, nella rabbia di The united debased oppure in The waning, pt. 1 & 2, che per metà poggia su un riff mostruoso e per l’altra su un coretto elegiaco e psichedelico. Questo è in fondo il mistero della musica dei Motorpsycho. Sono dei Led Zeppelin per adulti che però tirano fuori anche del krautrock. È inspiegabile come restino ancora la meno famosa delle rock band più significative degli ultimi trent’anni. Jens-Christian Rabe, Süddeutsche Zeitung

Entertainment, death
The Spirit of the Beehive (NATALIE PISERCHIO)

Il termine “realismo Kmart” fu coniato negli anni ottanta e descriveva la tendenza letteraria a usare frasi scarne per descrivere la desolazione dell’immaginario capitalista e suburbano. Potremmo usarlo anche per definire lo stile degli Spirit of the Beehive, che con Entertainment, death ci avvolgono di bagliori terrificanti e fosforescenti. Arrivano dai seminterrati punk di Filadelfia ma non somigliano a nessuno di quella scena. Frank Ocean è un loro fan e sembrano più un prodotto della londinese Warp. Questo disco non è molto diverso da quello che hanno fatto finora ma è migliore, più sofisticato. Ascoltare Wrong circle è come fare l’esperienza fisica di un brutto trip; voci melodiose sono contrapposte a pesanti sintetizzatori e percussioni. La musica è continuamente disturbata, come se stessimo sintonizzando una vecchia tv. Entertainment, death è un album bello e complicato. È un viaggio musicale nella paranoia notturna, a volte dai volumi troppo alti e disturbanti ma che in altri momenti riesce a essere intimo. Come un amico che ci racconta, ancora tremante, il suo incubo. Ma cosa vogliano dirci gli Spirit of the Beehive non è chiaro, sono imperscrutabili e in qualsiasi momento potrebbero ritrovarsi in una galassia lontana. Sophie Kemp, Pitchfork

Tiersen meets Chopin

L’accostamento delle orecchiabili colonne sonore di Yann Tiersen con un piccolo greatest hits di Chopin è un’idea che funziona. L’affinità stilistica con cui Ieva Dudaite suona Tiersen dovrebbe far contento chi ama cose come il tema del Favoloso mondo di Amélie: è musica perfetta per i dj che cercano un piacevole crossover per il loro programma di musica classica. Quando arriva Chopin, però, la giovane pianista lituana perde colpi. I valzer sono schiantati da un fraseggio goffo e da trilli che sono, per essere gentili, rozzi. L’introduzione della ballata op. 23 è caramellosa e quando la difficoltà tecnica aumenta Dudaite diventa sempre più prudente. Insomma, questo album offre un Tiersen raffinato e uno Chopin bruttissimo. Jed Distler, ClassicsToday

Altro da questo numero
1406 - 23 aprile 2021
Abbonati a Internazionale per leggere l’articolo.
Gli abbonati hanno accesso a tutti gli articoli, i video e i reportage pubblicati sul sito.