Cultura Suoni
Pink elephant
Arcade Fire (Danny Clinch)

Gli Arcade Fire vanno avanti. Più di due anni dopo le accuse di molestie sessuali contro il cantante Win Butler, che avevano fatto pensare che la loro avventura fosse arrivata al capolinea, la band torna con il suo settimo album, Pink elephant. Tutto come prima? Non proprio. Il titolo allude al tentativo fallito di sopprimere un pensiero, e descrive l’impossibilità di ascoltare i brani senza ripensare alla controversia. Butler e Régine Chassagne, sua moglie e compagna di band, hanno registrato a New Orleans componendo canzoni su amore, perdita e resilienza. In Ride or die, uno dei brani più intimi mai pubblicati dal gruppo, Butler canta: “Posso portarti ovunque / Non importa dove andiamo”. Un modo per dire che potrebbero vivere anche senza la musica. Ma ovviamente non è così. Il disco porta il marchio del nuovo coproduttore Daniel Lanois, già al fianco di Brian Eno e U2, e si apre con i synth psichedelici di Open your heart or die trying. Nel brano Pink elephant Butler canta la tristezza del mutamento: “Il modo in cui tutto è cambiato mi fa piangere”. L’album si chiude con Stuck in my head, un inno in vero stile Arcade Fire. Quando l’hanno suonata dal vivo, per un attimo al pubblico è tornata in mente Rebellion (Lies), dal primo album della band. Se Pink elephant non affronta direttamente le accuse, mostra Butler e Chassagne intenti a resistere e a trovare conforto nella loro musica e nel loro legame.
T’Cha Dunlevy, Montreal Gazette

Iris silver mist
Jenny Hval (Jenny Berger Myhre)

Il nuovo album dell’eclettica artista norvegese Jenny Hval è musica sull’assenza e sulla sintonizzazione. Hval riflette sui primi mesi del lockdown, quando i concerti e i club densi di fumo sono spariti dalla sua vita in un attimo. Questa specie di distacco – da una pratica, da un luogo, dal corpo – è presente ovunque in Iris silver mist, un lavoro glaciale e contemplativo, vicino a Laurie Anderson e a Vespertine di Björk. L’assenza di musica causata dalla pandemia è compensata da un elemento sensoriale diverso: il profumo, che come scrive Tom Robbins è l’essenza atavica che attiva una “coscienza floreale”. Qui fragranze e musica s’incontrano: come i profumi si diffondono in particelle, la musica si frammenta nell’aria facendo evaporare e condensare le canzoni tra di loro. Le idiosincrasie e le particolarità della musicista sono sempre presenti mentre si avventura in nuovi spazi sonori. Se per lo più si parla di distanza, dall’arte e dai suoi cari, Iris silver mist è anche un risveglio attraverso un’esperienza inebriante, sensuale e poliedrica.
Karly Quadros, Paste Magazine

Kurtág: Játékok

Ecco un bellissimo album dedicato a György Kurtág, un artista di 99 anni che è ancora nel pieno della sua giovinezza creativa. Dal 1973 il compositore ungherese continua ad aggiungere piccoli elementi al suo ciclo Játékok (giochi) e non si è ancora fermato. Vengono in mente precedenti illustri di lavori simili, dalla serie Mikrokosmos di Bartók al meno noto Manifestations di Gérard Grisey, per orchestra giovanile. Questo album è anche un inno all’amicizia: non solo quella del compositore con i molti dedicatari di queste miniature (tra cui György Ligeti), ma anche quella dell’esecutore, Pierre-Laurent Aimard, con l’autore. È delizioso ascoltare il pianista, esperto nelle complessità di Ravel, Messiaen e Boulez divertirsi con questa miriade di pezzetti per tastiera. Molti degli Játékok citano altri colleghi con curiosità imitativa (da Christian Wolff a Zoltán Jeney), altri guardano indietro con divertimento (Debussy) e la maggior parte nasce dall’amore (per la moglie Márta o per gli amici personali). E Aimard li suona come se fosse innamorato di un’invenzione che non è considerata importante, ma solo gioiosa. È un mosaico fatto di piccole tessere che riassume un capitolo essenziale del pianoforte nella seconda metà del ventesimo secolo.
Ismael G. Cabral, Scherzo

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1613 - 9 maggio 2025
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