La giovane ivoriana Aya abbandona il promesso sposo e il suo paese per trasferirsi a Guangzhou, dove lavora in un negozio di tè. Comincia una relazione con il suo capo, che ha 15 anni più di lei. Dieci anni dopo Timbuktu il regista mauritano punta il suo obiettivo sul quartiere Xiaobei, detto Little Africa o Chocolate city, uno dei rari luoghi in Cina ad accogliere la diaspora africana, senza rinunciare a un certo idealismo. Il luogo scelto sembra una bolla in cui tutti vivono in armonia. Anche la storia d’amore sembra protetta da ogni considerazione politica. Fino all’ultima scena. Ci aspettavamo qualcosa di più dal personaggio di Aya, un po’ relegata al ruolo di compagna di un uomo ferito.
Mathieu Macheret, Le Monde
Francia / Lussemburgo / Mauritania 2024, 109’. In sala

Norvegia 2024, 125’. In sala
La confessione può essere un toccasana, ma può avere le sue conseguenze, come in Sex. Il primo capitolo della “trilogia di Oslo” è basato principalmente sui dialoghi e prende spunto da una discussione tra due colleghi di lavoro. Uno di loro racconta di aver accettato l’invito di un cliente a fare sesso con lui. Anche se è la sua prima esperienza omosessuale, l’uomo non sembra dargli grande importanza. Al punto che l’ha confessato candidamente anche alla moglie. E se per lui si è trattato solo di sesso, per la moglie è molto di più. È un tradimento? Deve considerare il marito gay? Il loro è un matrimonio felice? Haugerud ripone grande fiducia nella qualità della sua scrittura. E fa bene. Il fatto che il film sia basato quasi esclusivamente sui dialoghi lo rende un po’ statico, ma la discussione e le sue digressioni sono sorprendenti, ironiche e divertenti e fanno di Sex un’avvincente esplorazione d’identità, sessualità e libertà.
Allan Hunter, Screen International
Svizzera / Perù 2024, 104’. In sala
Reinas (regine) è il termine affettuoso con cui Carlos chiama le sue figlie Aurora (adolescente) e Lucía (10 anni). Le due sorelle stanno per lasciare il Perù dei primi anni novanta, con i guerriglieri di Sendero luminoso sempre all’attacco e un’economia in crisi. La madre vuole provare a dargli una vita migliore in Minnesota. Carlos, padre assente ma amorevole e occasionalmente affascinante, può impedire il viaggio delle figlie? Ma chi è davvero? Un agente segreto? Un poliziotto? O è solo un tassista fanfarone? Reynicke è una regista di talento. La sua dote migliore è la sottigliezza, così la storia di formazione che racconta sembra più quella del padre che delle sue figlie.
Lucy Virgen, The Film Verdict

È il 1971: liberi dai Beatles e scottati dall’ostilità dei mezzi d’informazione britannici, Lennon e Ono hanno abbandonato Londra. Il Lennon che vediamo qui è impegnato, curioso, aperto, quasi allegro. Ono è liberata dalla figura che le avevano cucito addosso all’epoca (la distruttrice dei Beatles) e mostrata come un’artista d’avanguardia, eccentrica ma sinceramente colpita dalla campagna d’odio sollevata contro di lei. Per loro il trasferimento a New York è quasi una rinascita. Questa almeno è la narrativa ufficiale. Il film, realizzato con il supporto (e, sospettiamo, una qualche supervisione) degli eredi di Lennon, beneficia di materiali rivelatori e intimi, ma su alcuni aspetti del rapporto della coppia è stato discretamente steso un velo. I due registi hanno volutamente adottato un approccio stridente e frammentario. È un film su John e Yoko, ma anche su tempi turbolenti e sull’impatto della tv nella vita dei due. Il ritmo serrato e l’assenza di un unico focus riflettono la voracità della coppia per idee e temi. John e Yoko, attivismo, Vietnam, Nixon, insetti, pace: questo documentario di montaggio nervoso e scanzonato tocca tutto questo e molto altro, però non si sofferma su nulla. Ma anche se non rivela niente di nuovo su Lennon, riesce a farlo sentire vivo come pochi altri documentari sono riusciti a fare. Wendy Ide,The Guardian
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati