Cultura Suoni
The art of losing
The Anchoress (Isabella Charlesworth)

Quando non veste i panni di The Anchoress, Catherine Anne Davies è una collaboratrice regolare dei Manic Street Preachers (sua è la voce in ), va in tour con i Simple Minds e l’anno scorso ha trovato perfino il tempo per registrare un disco con Bernard Butler, una delle migliore uscite del 2020. Dopo il notevole debutto, che risale ormai a quattro anni fa, The Anchoress torna con l’attesissimo seguito. Con piano e violoncello che tengono insieme tutto, The art of losing è un evidente passo in avanti. I temi sono di quelli pesanti: il dolore, la perdita, i traumi, tutto viene esplorato come ci si aspetta da un lavoro realizzato dopo la morte del padre e una serie di aborti spontanei. Sembrano le premesse per un’ora molto deprimente ma il bello è che non è affatto così. Davies usa queste esperienze negative e le trasforma in un’intensa spinta propulsiva. La canzone che dà il nome all’album è un impetuoso classico synth pop che si interroga sulla lezione da imparare quando la vita ci volta le spalle, mentre The confessor segue un appassionante crescendo strumentale. La fantastica voce di Davies duetta con l’amico James Dean Bradfield in The exchange, dove il muro del suono ricorda i momenti migliori dei Manic Street Preachers. Tuttavia rimangono impressi anche brani più calmi e riflessivi che mostrano quanto la polistrumentista gallese sia brava a bilanciare il suo lato fragile con quello più muscolare.

John Murphy, Music Omh

When you see yourself

I toni smorzati dell’ottavo album dei Kings of Leon sono ben lontani dal ruggito del suono che nel 2007 faceva tremare le arene di tutto il mondo. Una volta noti soprattutto per l’alcol, le risse e le urla di Sex on fire, i fratelli Followill di Nashville (e il loro cugino) ormai sono uomini di famiglia di mezza età. Nelle interviste pubblicate durante la pandemia, hanno detto che questo è il primo album che sono riusciti a registrare senza che fosse tirato un solo pugno. Non è un’impresa da poco. Come il precedente Walls, When you see yourself suona come un album progettato per essere apprezzato tanto su costose autoradio quanto negli stadi, ma il risultato stavolta è meno brillante. La superficie opaca del nuovo suono è frutto dell’ossessione del chitarrista Matthew Followill per le tastiere e i sintetizzatori vintage, che pulsano attraverso l’album come i motori di vecchie navi merci: solidi, rilassanti e leggermente distanti. Dal punto di vista dei testi, le canzoni sono piene zeppe di cliché e contraddizioni. Il momento più strano arriva in Supermarket, dove il cantante saluta un transa­tlantico di passaggio, invitandolo ad ancorarsi nel “mare del perdono” e vedere cosa ha trovato. Non ho idea di cosa voglia dire. When you see yourself è piacevolmente soporifero. È il tipo di album che in autostrada i genitori possono canticchiare senza svegliare i bambini che dormono nei sedili posteriori.
Helen Brown,
Independent

Thumbing thru foliage
Yungmorpheus (dr)

Yungmorpheus si fa notare a Los Angeles da anni e si avvicina al suono degli eccentrici che risiedono nei rifugi sotterranei della città, quello di Madlib e di Earl Sweatshirt. L’incantevole Thumbing thru foliage è già il secondo album dell’anno di Yungmorpheus dopo l’ottimo States of precarity. Ma a differenza dei precedenti lavori, Thumbing thru foliage è interamente prodotto da Ewonee, nato a Mount Vernon e discepolo di Dj Premier e Dj Ron G. Insieme, la coppia ha creato un disco molto semplice: nessun ritornello e campionamenti di vecchi vinili soul. In The rat race e Sovereignty, Yungmorpheus rappa su loop vocali che sembrano attraversati da un pollice di polvere. Middle passage è un pugno in faccia, mentre Harbor blvd suona come un brano in stile MF Doom. C’è una linea sottile tra essere molto prolifici e fare i dischi in fretta e furia. Yungmorpheus ed Ewonee fanno parte della prima categoria. Dean Van Nguyen, Pitchfork

Sans paroles. Musica per piano solo di Georges Bizet

Nathanaël Gouin ha deciso di dedicarsi un po’ alla musica per pianoforte di Georges Bizet. Nelle sei squisite miniature degli Chants du Rhin sfoggia leggerezza di tocco e fantasia timbrica. Chi ha conosciuto le Variations chromatiques con la secca versione di Glenn Gould avrà una bella sorpresa grazie alla flessuosa elasticità di Gouin. Ma il virtuosismo del pianista emerge in grande stile nella stupefacente trascrizione per piano solo del secondo concerto di Saint-Saëns, sempre agilissima e piena di energia. È un disco veramente delizioso. Jed Distler, ClassicsToday

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1401 - 19 marzo 2021
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