Con la sua prosa incantatrice, il romanzo d’esordio di Akwaeke Emezi, Acquadolce,ha sconvolto i modi di pensare convenzionali, spingendo i lettori fuori dalle strutture dualistiche di corpo e spirito, maschio e femmina, psicotico e sano di mente. Il nuovo romanzo di Emezi continua a esplorare vite che spezzano le dicotomie rigide nel campo dell’individualità e della sessualità. L’intera storia si svolge nella penombra del dolore. Anche il titolo, La morte di Vivek, lascia poco spazio all’ottimismo. Ma nel corso del romanzo Emezi resiste costantemente all’inevitabilità della tragedia. La morte di Vivek Oji è enfatizzata così spesso che acquisisce una qualità leggendaria. Anche se non è concesso molto spazio al soprannaturale, la possibilità di una reincarnazione ancestrale aleggia su tutto il romanzo. Vivek nasce in Nigeria lo stesso giorno in cui muore la nonna. Una cicatrice a forma di stella marina su uno dei piedi del bambino assomiglia a una cicatrice della vecchia. “Superstizione”, insiste il padre del ragazzo. È una coincidenza, “e inoltre, Vivek è un bambino e non una bambina”. La morte di Vivek è la storia di una famiglia che si aggrappa a una rigida demarcazione tra uomini e donne, a costo di avvelenare la vita del loro unico figlio. Questo libro potente fa sentire più profondamente che mai le orribili conseguenze dell’intolleranza. Emezi ci incoraggia ad abbracciare uno spettro più completo dell’esperienza umana. Ron Charles,The Washington Post
Nel romanzo d’esordio semi-autobiografico di Paul Mendez, Latte arcobaleno, l’avatar dell’autore è Jesse McCarthy – giovane, gay, nero ed ex testimone di Geova – che ha imparato cosa significa essere nero da uomini bianchi. L’arrivo di Jesse (e presumibilmente quello di Mendez) a Londra all’inizio del millennio gli consente di dare un qualche ordine a tutte queste dimensioni della sua vita. Jesse fugge dalla sua cittadina di provincia e dalla crudeltà della famiglia. Adolescente onesto e religioso, non riesce a conquistare l’amore di sua madre, che lo ha cresciuto da sola prima di sposare il marito britannico, Graham, e unirsi ai testimoni di Geova. A Londra, Mendez descrive ogni casa, pub, bagno e ristorante con una precisione forense, e le sue osservazioni sui piccoli dettagli che determinano lo status economico sono sia divertenti sia commoventi. Latte arcobaleno cattura lo spirito di Londra subito dopo il duemila, con i suoi riferimenti alle Sugababes, ai jeans attillati e all’atmosfera apocalittica dopo l’11 settembre, specie per un adolescente cresciuto con l’aspettativa religiosa che il mondo possa finire nel corso della sua vita. Ricco di occasioni d’incontri sessuali, Jesse ci si getta a capofitto. Queste esperienze sono lo specchio che riflette sia come Jesse percepisce se stesso sia come è percepito dagli altri. Latte arcobaleno è un romanzo audace e crudo, e anche se c’è qualche spigolo da limare, il risultato è memorabile e affascinante. Nadifa Mohamed, New Statesman
L’indelebilità della memoria – individuale e collettiva – è il pilastro centrale di questo romanzo multigenerazionale, dove i personaggi appaiono e scompaiono, per poi riapparire cento pagine e diversi decenni dopo. Le loro vite possono abbracciare epoche e luoghi diversi, ma sono costantemente riportati a una realtà centrale che ruota attorno a Bangkok. In una struttura narrativa vorticosa e sempre sorprendente, Sudbanthad orchestra abilmente l’enorme cast di personaggi. Un missionario dell’ottocento lotta per adattarsi alla vita ai tropici e, in seguito, alla futilità della propria vocazione. Un pianista jazz negli anni settanta è assunto per esibirsi per i fantasmi che infestano la casa di una ricca anziana; suo figlio, Sammy, visita il padre in fin di vita a Londra dopo un’esistenza irrequieta passata fra tanti paesi e tante donne. Una di quelle donne, Nee, fatica a venire a patti con l’omicidio dei suoi amici da parte dei militari a metà degli anni settanta, e si reinventa come allenatrice di nuoto e amministratrice di condominio. Quale filone narrativo esercita l’attrazione maggiore? La resa agile delle numerose voci e dei punti di vista rende difficile preferire un personaggio rispetto agli altri. Ma il romanzo dà il meglio di sé quando si adagia su delicati momenti di intimità.
Tash Aw, The Guardian
A Paavalampatti, un villaggio del Tamil Nadu, un giovane bramino scopre il corpo di un operaio, Murugappa, sotto un albero di tamarindo. L’omicidio di un paria non provoca nemmeno un mormorio nell’India pre-indipendenza divisa per caste. Solo il giovane Ramu è ossessionato dal ricordo del cadavere. Si mette in contatto con la figlia di Murugappa, Ponni. Tra loro comincia una tranquilla amicizia. La storia di Ramu e Ponni e la storia di un paese in fermento si dipanano parallelamente. Il romanzo è diviso in quattro parti. La prima è ambientata in campagna, a Paavalampatti, dove Shankar coglie bene la rigidità della gerarchia di casta. Dal villaggio, Ramu va a studiare a Madras. Nella terza e quarta parte del romanzo torniamo al Tamil Nadu, dove Ramu e Ponni decidono di costruire una scuola. Ma i guai li aspettano quando il proprietario della cava, che affitta ai due la sua terra, si rende conto che l’istruzione lo priva dei suoi lavoratori. Da questo punto in poi, una narrazione tesa si allenta improvvisamente. Ma è un romanzo ben costruito e attualissimo, perché l’India, come sappiamo, non è cambiata molto. Radhika Santhanam, The Hindu
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