Cultura Suoni
Flock
Jane Weaver (Fire Records)

L’undicesimo album di Jane Weaver è quello che avrebbe sempre voluto fare, come afferma lei stessa. Una considerazione strana per un’artista che naviga tra i generi, senza farsi condizionare da pressioni commerciali. E quindi cos’è che Weaver desiderava tanto fare? Ascoltando Flock la risposta sembra essere un disco pop, con tutte le attenuanti del caso. Siamo sempre nei territori cari alla musicista di Liverpool: il fantasma dei Broadcast si aggira in Heartlow, il ritmo pulsante di Modern reputation è in debito con il krautrock, i sintetizzatori e la drum machine primitiva di All the things you do hanno più in comune con ristampe esoteriche di elettronica che con qualsiasi cosa sia in classifica ora. Weaver mette in primo piano le melodie che erano già nella sua musica, stavolta appoggiandosi al funk e al glam per piegare il pop al suo volere. Non sarebbe strano sentire Solarised reinterpretata da Kylie Minogue o da Dua Lipa. In questa densa rete di impulsi elettronici sparsi, Weaver riflette con distacco sulla comunicazione online, il patriarcato e la politica, mentre intorno a lei tutto sembra perdere il controllo per abbandonarsi al ritmo. Un risultato esilarante.

Alexis Petridis,
The Guardian

L.W.
King Gizzard & The Lizard Wizard (KGLW)

Dopo l’uscita del recente singolo Pleura, gli esuberanti rocker australiani King Gizzard & The Lizard Wizard hanno pubblicato L.W., il 17° album della band e forse uno dei loro lavori migliori. Registrato a distanza nel 2020 durante il lockdown, L.W. continua il viaggio dal punto in cui si era interrotto il suo predecessore K.G. Il nuovo disco mette anche in mostra con precisione le scale microtonali, usate per la prima volta dal gruppo nell’album del 2017 Flying microtonal banana. Il brano If not now, then when? dà il via al disco fondendo fragorosi riff anni ottanta con un funk totale che ricorda i Tame Impala. Ma se vi aspettate di scatenarvi, resterete delusi. Il già citato singolo Pleura è influenzato da Ac/Dc e Doors, ma ha un’atmosfera leggermente mediorientale con l’uso di un bağlama, uno strumento a corde turco che si fonde con l’intreccio ipnotico della batteria. Un’altra traccia di spicco è Ataraxia, una delizia lofi con un ritornello accattivante. In una recente intervista, parlando di L.W., il chitarrista Joey Walker ha dichiarato: “Una parte di me pensa che sia la cosa migliore che abbiamo mai fatto. E una parte di me pensa che sia la peggiore”. Io sinceramente sono più per la prima ipotesi. Emma Harrison, Clash

AAI

I Mouse on Mars credono nel potenziale creativo del caos. Questo vale in particolare per l’ultimo album del duo tedesco, AAI, che sta per “anarchic artificial intelligence”. E infatti questo disco può essere definito come il loro progetto meno catalogabile. È un lavoro che usa l’intelligenza artificiale sia come forma sia come contenuto. In apparenza AAI sviluppa alcune idee del disco precedente, Dimensional people. C’è in particolare la voce di Louis Chude-Sokei, che illustra molti dei temi alla base dell’album, come l’intelligenza delle macchine. In realtà quella che si ascolta non è la sua voce, ma la riproduzione realizzata da un software d’intelligenza artificiale realizzato apposta per i Mouse on Mars. Oltre a questa manipolazione, si sentono altre voci: un coro di suoni eccentrici, in parte umani e in parte artificiali, che assume varie forme: linee di basso, arpeggi, drone e perfino percussioni. AAI s’interroga su un dilemma: cosa può succedere se si affida l’azione alle macchine?
Philip Sherburne,
Pitchfork

Debussy, Chopin, Musorgskij

Bezhod Abduraimov ricorda Arturo Benedetti Michelangeli per il controllo del suono, Arcadi Volodos per il pianismo lucido come il marmo e Nelson Freire per l’espressività naturale. Esistono dei Children’s corner di Debussy più narrativi di questi, ma nessuno soppesa così accuratamente ogni accordo. Nei preludi op. 28 di Chopin il pianista uzbeco fa vivere ogni dettaglio senza mai estrarlo da un’eloquenza che unifica armonia e melodia, ritmo e pulsazione, forma ed espressione. E senza mai correre nei preludi per i quali è facile confondere il dramma e la tensione con i muscoli e la velocità. E alla fine ecco dei _Quadri di un’esposizione _di Musorgskij che raccontano delle vere storie, sempre con una precisione e una sontuosità pianistica ai limiti estremi del possibile.

Alain Lompech,

Classica

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1400 - 12 marzo 2021
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