Cultura Suoni
Tracks II
Bruce Springsteen (Aaron Rapoport, Corbis/Getty)

Quando nel 1998 uscì Tracks, il cofanetto con registrazioni inedite di Bruce Springsteen, sembrò di sbirciare dietro le quinte: un documento del processo creativo che ha portato alla costruzione della sua carriera, con canzoni mai pubblicate che illuminavano le sue scelte artistiche. Tracks II. The lost albums è un’altra storia: non semplici scarti, ma album completi, registrati e mixati, poi accantonati per ragioni artistiche o di tempismo. Ogni disco ha una sua personalità precisa, più distante che mai dallo Springsteen pubblico. Dai racconti di frontiera ispirati al folklore messicano, a un disco country-western scatenato, fino al famigerato album con drum loop degli anni novanta. Nonostante i diversi stili – soul, country, pop orchestrale – il cuore resta quello tipico di Springsteen. Tra i più attesi, LA Garage Sessions ’83 rappresenta il ponte tra Nebraska e Born In The U.S.A.: 18 brani grezzi, registrati quasi in solitaria, che mostrano un artista più intimo ma anche in esplorazione sonora. Non tutti riescono a brillare, specialmente i pezzi rock rétro un po’ forzati. Ma altrove – come in Fugitive’s dream o Follow that dream – si ritrova la magia minimalista di Springsteen. Sorprendentemente è Streets of Philadelphia sessions, il progetto influenzato dall’hip­-hop della west coast, a mostrare maggiore intensità. Con drum loop e sintetizzatori, Springsteen crea un’atmosfera malinconica e pulsante, lontana dalla E Street Band ma centrata. E canzoni come One beautiful morning dimostrano che anche quando sperimenta il Boss non perde la sua voce. Alex McLevy, The A.V. Club

The universe will take care of you
Holden & Zimpel (Dr)

Tanti dischi che hanno tentato d’integrare generi diversi sono andati incontro alla catastrofe. Quando invece l’operazione funziona è un piacere per le orecchie, come in The universe will take care of you. Il britannico James Holden e il polacco Wacław Zimpel provengono da contesti diversi: il primo dall’elettronica, con anche qualche esperienza da dj e produttore; il secondo dalla musica classica, e il suo strumento d’elezione è il clarinetto contralto. Insieme hanno messo in campo un’esperienza in grado di riconoscere le qualità di ognuno ed evitare le discordanze. Nonostante i due descrivano le tracce come delle improvvisazioni, è evidente che la sperimentazione è sotto controllo, come nell’andamento ritmico ripetuto di You are gods, e in cui gli strati sonori interagiscono all’interno di una relazione consapevole. Anche se non tutto funziona alla perfezione, Holden e Zimpel sono da elogiare per il loro dinamismo e una certa intelligenza musicale. Le sfumature sono tante, in un album impegnativo ma gratificante. Ray Honeybourne,The Line of Best Fit

The lost tapes. Beethoven: sonate n. 18, 27, 28, 31

A Svjatoslav Richter non piaceva lo studio di registrazione, però forse è il pianista del quale abbiamo il maggior numero di testimonianze, quasi tutte dal vivo, ufficiali e ufficiose: più di quarant’anni di concerti con molte versioni di buona parte del suo sconfinato repertorio. È il caso anche di The lost tapes. Queste quattro sonate per piano di Beethoven sono tratte da recital che l’artista tenne nel 1965: la sonata n. 31 è dal festival che aveva fondato lui stesso alla Grange de Meslay, vicino a Tours, le altre sono tratte da un concerto a Lucerna tre mesi dopo. L’immediatezza di queste esecuzioni è sorprendente. Richter non si accontentava di replicare la sua interpretazione di un’opera, ma l’affrontava ogni volta in un modo nuovo scoprendo sempre qualcosa: la gioia della n. 18, la miriade di colori e sottigliezze della n. 28 o la serietà quasi liturgica della fuga finale della n. 31. Le registrazioni furono realizzate dai tecnici della Deutsche Grammophon, che quell’anno seguivano Richter in giro per l’Europa, e questo garantisce un suono molto accettabile. È una grande testimonianza di un interprete glorioso. Andrew Clements, The Guardian

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1620 - 27 giugno 2025
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