Sei a una festa e non sei per niente sobrio. La musica rimbomba mentre ti chiudi in bagno e ti perdi a guardare il tuo riflesso sotto una luce impietosa. Di fronte allo specchio, ti chiedi: “Chi è questo clown?”. Ma non sei arrabbiato: sei solo sospeso, distaccato da te stesso. È in questo intervallo di tempo che vive Deadbeat, il nuovo album di Kevin Parker alias Tame Impala. In 56 minuti, Parker interpreta l’uomo allo specchio, pentito dei suoi errori e incapace di connettersi davvero con gli altri, oscillando tra lucidità e fuga euforica. Con Deadbeat il musicista australiano abbandona il rock psichedelico che l’ha reso celebre per abbracciare il suono ipnotico del rave: bassi sintetici, cassa dritta, pochi fronzoli. Il risultato è una reinvenzione coraggiosa ma ambivalente: i temi di vergogna e autocommiserazione cozzano con la freddezza dei beat elettronici. Spesso la musica appare leggera, quasi disincarnata, come in Not my world o Piece of heaven. Quando però Parker si concede al pop, come in Oblivion o Dracula, emerge un’energia più viva, un equilibrio tra ironia e vulnerabilità. Deadbeat racconta la storia di un uomo intrappolato nei propri difetti, incapace di cambiare. Solo nel finale, con Afterthought, s’intravede una liberazione. E la copertina, nella quale si vede Parker che abbraccia la figlia, suggerisce una speranza che la musica non osa ancora realizzare.
Paolo Ragusa, Consequence of Sound
Brittney Denise Parks, nota come Sudan Archives, non si è mai tirata indietro quando è arrivato il momento di sperimentare. Già nell’album rivelazione del 2022, Natural brown prom queen, proponeva un suono in grado di essere sia intimo sia futuristico. Dead, il pezzo di apertura di The bpm, comincia con un violino su un tappeto di trame elettroniche e prosegue in una direzione che rende giustizia al titolo che ha scelto per questo terzo lavoro. Le percussioni sono centrali, mentre Sudan Archives infila nel ritmo da club temi come il corpo e l’identità. La musicista statunitense intraprende un viaggio attraversando dance, trap, hyperpop, house e techno; quello che colpisce è la sua capacità di mantenere profondità in mezzo ai costanti cambi di genere. Il suo violino serpeggia ovunque, ma è usato soprattutto come rifinitura. The bpm è un disco illuminato, fatto di battiti pulsanti e di uno stile coraggioso. Sudan Archives è inarrestabile.
Emre Gurdal, Northern Transmissions
Julianna Avdeeva, vincitrice del concorso Chopin di Varsavia nel 2010, ha un approccio ai Preludi e fughe di Šostakovič dal notevole calore espressivo. Ripetto all’interpretazione storica di Tatjana Nikolajeva (la cui asciutta registrazione del 1987 è la mia preferita tra le sue quattro), Avdeeva è più limpida e tende a preferire la consonanza all’eccentricità satirica: provate la Fuga in la minore. Ci sono momenti in cui potrebbe sembrare troppo morbida, ma è sempre tenacemente coerente, non senza momenti di concisa asprezza. Mantiene un controllo formidabile e non forza mai il tono, mentre i suoi tempi – che non sono lontani da quelli di Aleksandr Melnikov (Harmonia mundi) – evitano gli estremi incendiari. È brava tanto nei momenti di gioia canora quanto in quelli più gravi. I due dischi di Adveeva si concludono con un preludio in do diesis minore scoperto nell’archivio del compositore: era destinato a questa raccolta ma poi fu messo da parte. È stato completato da Krzysztof Meyer, che gli ha composto una fuga in stile davvero mimetico. Opportunamente, la registrazione è stata effettuata a Lipsia, dove nel 1950 Šostakovič aveva ascoltato Tatjana Nikolajeva, che lo ispirò per scrivere questo lavoro. L’approccio di Julianna Avdeeva è molto diverso dal suo, ma altrettanto avvincente. La registrazione è esemplare.
Jonathan Woolf, International Piano
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