Sono passati sette anni dall’ultimo album di Lily Allen, intitolato No shame e ben accolto dalla critica ma non dal pubblico. Il suo scarso successo dimostrava un cambiamento all’interno del pop britannico, che preferiva bravi ragazzi come Ed Sheeran. Così Allen si è allontanata dalla musica per dedicarsi a varie cose come recitare, fare podcast, lanciare una linea di sex toys. Ma quando nel 2022 Olivia Rodrigo l’ha invitata sul palco di Glastonbury è stata molto chiara a tutti la sua influenza sulla nuova generazione di popstar. Il ritorno con West end girl arriva quindi in un clima decisamente più accogliente e, nonostante prenda in prestito qualche idea da colleghe ed estimatrici come Charli XCX e PinkPantheress, non è un’operazione opportunistica: è un atto di esorcismo personale. Nel racconto della vita privata attraverso le canzoni Allen ha alzato l’asticella, lavando i panni sporchi in pubblico. I brani sono scritti con intelligenza e mordente. Se i testi faranno parlare, bisogna dire che non si tratta solo di un’opera catartica. L’artista passa attraverso vari stili e quello che tiene tutto insieme è la bellezza delle melodie, che costruiscono un’atmosfera romantica ed evocativa opposta alle vicende narrate. Per alcuni Allen sarà esagerata nella sua onestà, altri si ritroveranno nelle sue parole. Quello che è certo è che West end girl è un album sul divorzio senza pari.
Alexis Petridis, The Guardian
Nel film Il vento ci porterà via di Abbas Kiarostami, un regista arriva in un villaggio per documentare dei rituali funebri. Lì comprende quanto il suo sguardo sia intrusivo e s’interroga sulla possibilità di rappresentare con sincerità quei riti. Lo stesso conflitto tra osservazione e autenticità attraversa la musica del trio sloveno Širom, che definisce il proprio stile “folk immaginario”. “Non vogliamo suonare qualcosa che esiste già”, dicono. Una frase insolita per dei musicisti folk, genere tradizionalmente legato alla memoria. Ma i Širom reinventano il concetto di tradizione, creando suoni che paiono antichi e moderni allo stesso tempo. Nel loro quinto album In the wind of night, hard-fallen incantations whisper più di trenta strumenti e “oggetti vari” compongono un universo inafferrabile. I brani, spesso lunghi più di dieci minuti, evocano riti e visioni. Ogni titolo sembra un incantesimo poetico. Come il regista di Kiarostami, i Širom accettano l’impossibilità di rappresentare la tradizione. E così ne creano una nuova, sospesa tra sogno e memoria.
Nathan Skinner, Beats per Minute
Il disco di George Xiaoyuan Fu propone un’integrale degli Studi di Debussy insieme a notevoli opere pianistiche del nostro secolo. I Three études for piano and flower pots di Ninfea Cruttwell-Reade sono brevi ma sostanziosi. Il timbro dei vasi di fiori evoca un ensemble di gamelan privo di risonanza, o una marimba leggermente scordata. Le sonorità si fondono con il pianoforte: spesso è difficile distinguere i due strumenti. I Three études di Matthew Aucoin presentano un’asimmetria frastagliata e improvvisi contrasti dinamici, come un super-Webern con echi di Boulez. Xiaoyuan Fu basa la sua Passacaglia on a theme by Radiohead sulla linea di basso di Airbag, che apre l’album Ok computer. Non è necessario conoscere il pezzo dei Radiohead per apprezzare la complessità poliritmica, sempre vivace ma mai confusa, o per godere dell’imprevedibile diversità da una variazione all’altra. Per quanto riguarda gli Studi di Debussy, il disco contiene alcune delle loro interpretazioni più affascinanti e ricche di carattere dai tempi di Mitsuko Uchida e Jean-Efflam Bavouzet. Qualsiasi osservazione è irrilevante di fronte alla straordinaria musicalità del pianista. La qualità della registrazione è buona, anche se ogni tanto nei momenti più forti è un po’ aspra.
Jed Distler, Gramophone
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