“Puoi mandarmi i prezzi delle bombolette spray e della vernice entro lunedì? Poi il mio collega Tomi ti chiamerà per i dettagli”. Marina Đapić, alias Marina Mimoza, ha fatto molte chiamate di questo tipo durante l’estate. È la fondatrice dello Street arts festival Mostar (Safmo), che si svolge da undici anni all’inizio di settembre.

Đapić, 35 anni, e i suoi sei colleghi provenienti da diverse aree della città, fanno tutti parte dell’associazione Rezon per il progresso della cultura urbana e dell’arte pubblica e contemporanea. Dopo un anno di lavoro intenso possono finalmente respirare. Mostar è abbellita da nuovi murales e graffiti creati da artisti internazionali e locali. Durante le undici edizioni sono state realizzate quasi duecento
opere.

Tutto è cominciato nel 2011, quando Đapić è rimasta profondamente affascinata da un documentario diretto dalla stella della street art Banksy. “Sono partita dal desiderio di partecipare alla vita culturale della città. Volevo rivitalizzare gli spazi pubblici attraverso l’arte e creare una scena di street art a Mostar”, ricorda. “Fin dall’inizio l’entusiasmo e la solidarietà sono state le basi del festival”. Đapić racconta che, con il passare del tempo, si è formato un gruppo di persone di diverse generazioni e ambiti professionali che ha promosso l’idea e la missione della manifestazione.

Entrare in sintonia

Quest’anno Alex Senna, street artist di São Paulo, considerata la capitale della street art in Brasile, è arrivato a Mostar per la prima volta come ospite. Ha realizzato i suoi murales in una ventina di città di tre continenti. Di solito sono in bianco e nero, ma Senna sottolinea che “niente è così nella vita reale”.

“Non conoscevo Mostar e questa parte del mondo”, ammette l’artista, sottolineando che partecipare al Safmo è stata “una grande occasione per scoprire le persone, la cultura e il paese. È un onore poter lasciare un pezzo della mia arte in questa città. Spero di essere riuscito a raccontare una storia con cui le persone possano entrare in sintonia”. Senna descrive la sua opera “come un gioco tra un ragazzo e la sua ombra, ma allo stesso tempo è la rappresentazione di un ragazzo nella sua individualità. A volte mettiamo i ragazzi in posti che non gli piacciono, ma qui è diverso: il ragazzo è il protagonista della sua storia e sente il legame, la comunicazione con l’ombra”.

A poche centinaia di metri di distanza, Hnrx, un artista arrivato da Innsbruck, in Austria, sta pazientemente mescolando i colori che serviranno a decorare il muro di un palazzo di quattro piani. Hnrx racconta che appena ha messo piede a Mostar ha cominciato a passeggiare per le strade per “sentire” meglio la città. Il suo lavoro è un “insieme di forme astratte ed elementi naturali come limoni e piante, oppure il vetro”, spiega. “Per me è un parco giochi in cui divertirmi, non ha un senso specifico. È sospeso tra l’astrattismo e il surrealismo”.

Ljubica Zovko, sessant’anni, di Mostar, segue con entusiasmo tutto quello che succede nel suo quartiere. Si è appassionata alla street art quando nei primi anni del festival ha visto i palazzi decorati, in una città in cui su alcuni edifici sono ancora ben visibili gli effetti della guerra che c’è stata tra il 1992 e il 1994.

Nelle edizioni precedenti, Zovko ha dipinto due muri nel suo quartiere, abitato soprattutto da croati. Lo ha fatto dopo aver avuto l’approvazione del comitato che gestisce il festival e dopo aver fatto vedere le sue proposte ai residenti. “Li ho convinti e mi hanno autorizzata”, racconta con un sorriso, prima di aggiungere che alla fine gli abitanti del quartiere erano “contentissimi” del suo lavoro.

L’artista statunitense Mark Jenkins spiega che l’idea alla base della sua installazione e performance a Mostar è dare nuova energia agli edifici danneggiati, usando “pupazzi che somigliano agli esseri umani”. Dopo la guerra “tutto era monotono, distrutto e grigio. Ora la città sta rinascendo. Molti turisti vengono qui per scattare foto ai murales”, racconta Ljubica, mentre cerca Hnrx per chiedergli un consiglio su come dipingere i contorni della sua opera ancora incompleta.

Spazio per i bambini

Nel caldo torrido d’agosto gli artisti, alcuni sospesi su delle gru a diversi metri d’altezza, attirano gli sguardi curiosi dei residenti. Gli abitanti di Mostar manifestano il proprio apprezzamento offrendogli da mangiare e da bere. I passanti si fermano, scattano foto e pubblicano le immagini delle opere sui social network.

Quest’anno alcuni artisti tradizionali espongono le loro creazioni in mostre collaterali del festival, mentre altri artisti locali realizzano murales e graffiti sulle mura abbandonate della vecchia caserma dell’armata popolare jugoslava. In uno spazio dedicato ai bambini, i visitatori più giovani del festival imparano insieme ai genitori le tecniche basilari della pittura murale.

Il sindaco della città Mario Kordić partecipa all’iniziativa “caffè sul muro”, in cui i residenti di Mostar scoprono la cultura e l’arte urbana. Il sindaco dice di condividere la visione del festival: “Vivere insieme la città, usarne gli spazi comuni e incontrarsi all’aperto”. Kordić sottolinea che il festival può contare sul pieno appoggio della giunta. “Dipingeremo Mostar, la renderemo bella, colorata e piena di murales, immagini e messaggi positivi”, spiega, aggiungendo di aver discusso con gli organizzatori la possibilità di creare uno spazio permanente “in cui i giovani possano socializzare e mostrare le loro abilità creative”.

Una visione di questo tipo ha un significato speciale in una città devastata all’inizio degli anni novanta dalla guerra tra croati e bosgnacchi. Un conflitto che ha lasciato profonde cicatrici sociali e politiche. Nel 2020, dopo dodici anni di rinvii dovuti agli scontri tra i partiti, sono state organizzate le elezioni comunali, ma ancora oggi Mostar è considerata una città spaccata a metà, con i bosgnacchi a est e i croati a ovest. A proposito del futuro, Marina Đapić spiega che l’obiettivo è continuare a coinvolgere la comunità locale.

Secondo Marko Tomaš, poeta e giornalista residente a Mostar, “il festival di street art è solo una delle manifestazioni della cosiddetta terza Mostar, non quella bosgnacca e nemmeno quella croata, ma quella che pur non ignorando le divisioni politiche, non le accetta”. Secondo lui il festival è una “manifestazione di resistenza contro la realtà politica imposta”.

Sead Šašivarević, fotografo, è convinto che il festival abbia la possibilità di trasformare Mostar in un museo a cielo aperto arricchito dalle opere di artisti urbani di fama mondiale. Šašivarević faceva il banchiere a Sarajevo, ma durante la pandemia di covid-19 si è trasferito a Mostar, nel sobborgo di Blagaj, per dedicarsi a un progetto di agricoltura sostenibile.

Quest’anno è stato scelto come fotografo ufficiale del festival. “Forse non siamo consapevoli dell’importanza di questo progetto, ma Mostar può diventare una città che le persone visiteranno proprio per questo motivo. La street art appartiene alla stessa categoria del vecchio ponte cittadino. È arte in spazi pubblici e accessibile a tutti”, spiega Šašivarević riferendosi al monumento più famoso della città, il ponte del sedicesimo secolo sul fiume Nerenta distrutto durante l’assedio del 1993 e successivamente ricostruito.

Secondo la fondatrice, i giovani che quest’anno si sono avvicinati al festival, l’hanno rafforzato e arricchito. Le sensazioni positive che gli artisti hanno provato a Mostar si trasmetteranno anche agli ospiti delle prossime edizioni. “Abbiamo molti progetti, ma prima di tutto ora dobbiamo riposare un po’. Però voglio dirti che non abbiamo ancora rinunciato all’idea di portare Banksy a Mostar”, ribadisce Đapić mentre sorride vicino alle acque fredde del fiume Nerenta, in una delle città più calorose ed esotiche della Bosnia Erzegovina. ◆as

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Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati