Il governo ha usato tutti i trucchi immaginabili per influenzare il voto, compreso l’annuncio che le “bollette del gas saranno pagate dallo stato”, naturalmente con i soldi dei contribuenti. I turchi vanno a votare in un paese in cui alle elezioni amministrative del 2019 le manipolazioni del Supremo consiglio elettorale (Ysk) sono continuate anche dopo l’annuncio dei risultati.

Tutto ciò provoca un senso d’incertezza anche tra chi segue da vicino la politica turca. Qualche giorno fa un amico mi ha detto: “Nel 2019 ero convinto che il governo non avrebbe mai mollato Istanbul. Alla fine ha fatto ripetere il voto, ma ha perso con un divario ancora maggiore ed è stato costretto ad accettare la sconfitta. Stavolta preferisco essere più cauto”. Se non fosse stato per l’attenta sorveglianza dell’opposizione, forse quel risultato sarebbe stato diverso. Ma non dobbiamo dimenticare che nelle zone a maggioranza curda da trent’anni i cittadini sono costretti a votare all’ombra delle forze di sicurezza e tra pressioni di ogni tipo, eppure i partiti al potere sono regolarmente sconfitti.

Non bisogna pensare che un voto non cambia niente. In base all’attuale legge elettorale basta che pochi elettori di opposizione si astengano perché un seggio vada alla coalizione al governo. Inoltre è di assoluta importanza vigilare sulle urne e seguire il processo di scrutinio fino alla proclamazione dei risultati.

Il candidato dell’opposizione Kemal Kılıçdaroğlu ha invitato i suoi sostenitori a non uscire in strada la sera delle elezioni per evitare provocazioni. Non è una preoccupazione infondata in un paese dove i provocatori sono funzionari stipendiati. Ma in politica gli spazi vuoti sono presto riempiti da altri. Esprimere la gioia nelle strade è una tradizione democratica in tutto il mondo, e a volte può avere effetti decisivi. Con la speranza e la fiducia che il giorno dopo ci sveglieremo in un mattino migliore. ◆ ga

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1511 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati