Le bombe plananti arrivano in gruppi di tre. Il loro volo si sente da lontano, ma solo pochi secondi prima dell’impatto è possibile capire dove colpiranno. La terra è scossa dalle esplosioni, molto più potenti di quelle dell’artiglieria normale. Due agenti di polizia sono stesi a terra. Rialzandosi in piedi, Oleksij Charkivskyj, giovane ed esuberante capo della polizia della città di Vovčansk, si arrampica su un cumulo di macerie e indica i pennacchi di fumo nero che salgono al cielo. Il più vicino è a meno di un chilometro.

“Ne vedo uno, e lì c’è il secondo. Il terzo è subito dietro quella casa”, dice. “Se ci tieni alla pelle ti suggerisco di raccogliere le tue cose e seguirmi”.

Vovčansk è al centro della nuova offensiva russa nell’oblast di Charkiv. La città è stata liberata nel settembre 2022 dalla prima occupazione russa. Da allora l’esercito di Mosca non si era mai spinto così in profondità oltre il confine. E oggi la cittadina sta per diventare il primo, grande insediamento ucraino a essere occupato dai russi per la seconda volta.

La prospettiva di una nuova offensiva su larga scala contro Charkiv, la seconda città ucraina, incombeva da mesi, ma si sta concretizzando proprio ora che le forze ucraine, in difficoltà, perdono terreno in diverse zone più a sudest, nella regione di Donetsk.

Abbiamo visitato Vovčansk l’11 maggio, dopo le prime incursioni russe in territorio ucraino, in due punti della frontiera (il 15 maggio l’esercito ucraino ha annunciato il ritiro da alcune aree di confine nei pressi di Vovčansk e Lukjantsy). Più a ovest le forze russe hanno occupato diversi villaggi, arrivando a venticinque chilometri dalla periferia di Charkiv.

Il secondo asse puntava invece verso Vovčansk. Al momento della pubblicazione di quest’articolo le forze di Mosca avevano raggiunto la periferia del centro abitato, come confermano gli interventi su Facebook di Denys Jaroslavskyj, comandante militare ucraino attivo nella zona, e le dichiarazioni rilasciate dagli agenti di polizia all’agenzia Associated Press.

La strada che porta a Vovčansk è avvolta da un fumo denso per diversi tratti. Ampie aree della foresta sono in fiamme. All’interno del centro abitato l’atmosfera è tetra. In strada non si vedono soldati ucraini, solo alcuni civili, seduti davanti alle loro case e incuranti della battaglia in corso poco lontano. Nel cielo sgombro da nuvole ronzano i droni russi, alla ricerca di possibili bersagli.

La polizia locale e le organizzazioni di volontari sono impegnate in una corsa contro il tempo per evacuare i civili dalla città e dai villaggi circostanti. Da un centro operativo situato in un villaggio vicino gli agenti raggiungono casa per casa le persone che hanno chiesto di andarsene, e ogni giorno se ne vanno a centinaia. _Prima della guerra Vovčansk aveva più di 17mila abitanti. Secondo il governatore dell’oblast di Charkiv, Oleh Synjehubov, il pomeriggio del 12 maggio ne erano rimasti cinquecento. Nonostante l’assedio, a quanto pare c’è chi è determinato a restare. Come succede in diversi centri abitati vicini al fronte, anche qui i residenti sono ostinatamente legati alle loro case e ai loro beni.

L’avanzata russa

Le capre di Serhij

L’auto della polizia svolta in una strada senza nome fuori del centro. Un uomo tozzo dai capelli ricci vaga senza meta, in mezzo alla strada. Le sue mani, il viso, i vestiti sono ricoperti di fuliggine. Sul polso mostra i segni di una medicazione.

Serhij Kotsar, 65 anni, ferroviere in pensione, non ha quasi più nulla a cui aggrapparsi. La casa dov’è nato e cresciuto è stata colpita da una bomba planante attorno alle due del pomeriggio del 10 maggio. Di quello che c’era dentro non è rimasto nulla. Tutto è sepolto o carbonizzato. “Ero qui e stavo pranzando con mia moglie”, racconta Kotsar, osservando l’unico muro rimasto in piedi. “E poi è successo questo”, aggiunge indicando le macerie.

Sua moglie è rimasta gravemente ferita ed è stata trasportata in ospedale a Charkiv, ma Kotsar ha deciso di restare. Il motivo della sua ostinazione è in un vecchio capanno dietro la casa, bruciato e danneggiato. Le capre di Serhij, tre adulte e due cuccioli, belano mentre l’uomo le accarezza sulla testa. In un angolo miagola quasi impercettibilmente un gatto, ustionato ma ancora vivo. “Non ho il coraggio di uccidere gli animali con le mie mani”, dice Kotsar trattenendo le lacrime.

Gli agenti di polizia e i volontari non possono evacuare anche gli animali e il bestiame. E per alcuni è un motivo più che sufficiente per non andarsene.

In mezzo a questa distruzione, l’idea di una seconda occupazione russa ha un effetto devastante sulle persone. “So perfettamente che le cose non miglioreranno”, ammette Kotsar. “Ovviamente abbiamo sempre saputo che c’era la possibilità di una seconda occupazione, ma non avevamo un altro posto dove andare. Io e mia moglie siamo entrambi pensionati e non abbiamo soldi”.

In sella alla sua bicicletta, Oksana, 48 anni, cerca di convincere il vicino a raggiungere la moglie. “Non ha documenti non gli è rimasto nulla, deve andare via. Ma non si decide”, spiega.

Oksana, che non ha voluto rivelarci il cognome per paura di rappresaglie, lavora al coordinamento degli aiuti umanitari per i residenti. Neanche lei vuole partire. “Credo nei nostri ragazzi: non permetteranno ai russi di entrare in città”, dice. “Sono già venuti una volta e non hanno portato niente di buono. Hanno preso mio figlio e ci hanno provato anche con mio fratello”.

La conversazione viene interrotta dall’esplosione di altre bombe plananti. Oksana si raggomitola dietro a un albero e si copre con il cappuccio della giacca.

Nella mezz’ora successiva Charkivskyj e i suoi agenti controllano altre strade, ma nessun residente è pronto a partire. Spesso le persone sostengono di non voler andare via perché vogliono aiutare i vicini.

Olha Chodaiko sta consegnando un caricabatterie per telefoni a una famiglia che vive poco lontano. Parla con voce squillante e delicata, cercando di non piangere. “Ho i miei cani, i miei gatti, i miei uccelli e i miei vicini. Non voglio abbandonarli”, racconta. “Se qui c’è bisogno di me, allora che Dio mi assista. Se c’è bisogno di me all’altro mondo, va bene lo stesso. Spero solo di non soffrire. Non ho intenzione di vivere sotto una seconda occupazione. E comunque credo che ci uccideranno tutti”.

“Sono in molti a dire che nessuno ha bisogno di loro e che vogliono morire in casa propria. Ci sono mille modi per giustificare la decisione di restare”, commenta laconico Charkivskyj.

Finalmente la polizia raggiunge una casa dove una persona accetta di essere prelevata. Con le valigie già pronte, Oleksandr, 65 anni, bussa alla porta di un vicino per l’ultimo tentativo di convincerlo a partire con lui. Quando capisce che non ci riuscirà, si fa il segno della croce tre volte davanti alla sua casa di mattoni. E scoppia a piangere.

Non resterà niente

La partenza di Oleksandr è interrotta dallo scoppio di altre bombe. È il quinto gruppo di ordigni a colpire la città in meno di due ore. Dopo aver caricato Oleksandr in macchina, gli agenti si allontanano rapidamente. Nel centro di evacuazione arrivano molti civili da Vovčansk e dai villaggi vicini. Ci sono anche diverse famiglie con bambini.

Dopo aver consumato un pasto caldo e presentato i documenti, i residenti salgono a bordo di automobili e bus diretti a Charkiv. I più fortunati alloggeranno da amici e familiari in altre zone più sicure dell’Ucraina o all’estero, ma chi non ha contatti, come Oleksandr, dovrà trovare un modo per sopravvivere. L’aiuto finanziario offerto dallo stato non è minimamente sufficiente.

A Vovčansk la prima occupazione è durata sei mesi ed è stata segnata da violenza e terrore. La seconda, prevede Charkivskyj, sarà peggiore. “La prima occupazione è nulla rispetto a quello che potremmo subire in futuro”, aggiunge. “Nel 2022 i russi sono entrati senza svegliare nessuno, e a mezzogiorno erano già alla periferia di Charkiv. Stavolta, se arriveranno, sono sicuro che prima di andarsene distruggeranno tutto. Non resterà niente”.

Poche ore dopo la pubblicazione di questo articolo, il 12 maggio, il capo della polizia Oleksij Charkivskyj ha riferito al Kyiv Independent che Serhij Kotsar aveva accettato di lasciare la sua casa. Gli animali erano stati liberati. Ora dovranno cavarsela da soli. ◆ as

L’analisi
I progetti del Cremlino

◆ L’offensiva russa su Charkiv era ampiamente prevedibile, perché deriva dalla logica stessa di questa guerra.

I paesi che parteciperanno alla conferenza di pace di giugno in Svizzera avranno inevitabilmente contatti informali con il Cremlino. Ci sarà quindi una nuova serie di colloqui. Oggi Mosca vuole avanzare in Ucraina e conquistare delle città strategiche per usarle come moneta di scambio durante i negoziati.

Inoltre, se si deciderà un cessate il fuoco (cosa diversa dalla pace), sarà necessaria la creazione di una zona cuscinetto tra ucraini e russi. Il Cremlino sta cercando di fare in modo che questa striscia sia interamente in territorio ucraino. Questo è il piano di Mosca, ma ha scarse possibilità di riuscita. Per ora, infatti, le forze russe nella zona non hanno le dimensioni necessarie per minacciare davvero Charkiv. Un attacco simile richiederebbe almeno 75mila soldati e il completo dominio dell’aria. La città, tuttavia, continuerà a essere bombardata, anche pesantemente. Nella zona di Sumy la situazione è più complicata, ma anche in questo caso la sua conquista appare improbabile. Molto dipenderà dalla quantità, e soprattutto dalla qualità, delle strutture difensive costruite di recente. Presto capiremo chi, tra i governatori delle regioni di Charkiv, Sumy e Černihiv, ha usato i soldi pubblici per proteggere il paese e chi invece se li è intascati. Oleksandr Kočetkov, Glavcom, Ucraina

◆ La conquista di Charkiv è senz’altro un obiettivo a lungo termine dei russi, ma anche le più limitate manovre attuali sono importanti per Mosca. Per prima cosa, la creazione di una zona cuscinetto lungo il confine servirà a proteggere meglio la città di Belgorod dagli attacchi ucraini e renderà Charkiv raggiungibile dai colpi dell’artiglieria russa. In secondo luogo, l’avanzata lungo la direttrice est potrà servire a supportare le operazioni militari sul fronte di Kupjansk.

Infine, e questo è il punto più delicato per gli ucraini, l’attacco sta costringendo Kiev a spostare le sue truppe verso nord, con il rischio di indebolire il già fragile fronte orientale nel Donbass. Il fatto che per Mosca questa sia un’operazione molto importante è confermato dalla riorganizzazione della struttura militare russa. Dell’offensiva su Charkiv è infatti incaricato il Gruppo Nord dell’esercito, istituito ad aprile e guidato dal generale Aleksandr Lapin. Andreas Rüesch, Neue Zürcher Zeitung, Svizzera


Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1563 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati