Un operaio della fabbrica della ZF partecipa allo sciopero. Tuscaloosa, Alabama, 20 settembre 2023. (Andi Rice, Bloomberg/Getty Images)

“Il movimento sindacale degli Stati Uniti, da tempo moribondo, mostra segni di vita”, ha scritto Nick French sulla rivista progressista Jacobin. Il 15 settembre lo United automobile workers (Uaw), grande sindacato del settore automobilistico, ha proclamato uno sciopero che blocca la produzione dei tre principali costruttori statunitensi: General Motors, Ford e Stellantis, la multinazionale che comprende la Fiat e di cui è presidente John Elkann. È la prima volta che succede, e per questo molti hanno definito storico lo sciopero.

Le rivendicazioni sono semplici. Negli ultimi dieci anni le aziende automobilistiche statunitensi hanno accumulato 250 miliardi di dollari di profitti. Questi profitti sono aumentati del 65 per cento solo negli ultimi quattro anni. Gli amministratori delegati sono stati ampiamente ricompensati per questo successo, con un aumento delle loro retribuzioni del 40 per cento. Nello stesso periodo, invece, i salari reali dei lavoratori sono diminuiti del 30 per cento. Lo Uaw ha chiesto quindi aumenti del 40 per cento per i circa 150mila lavoratori delle tre aziende, per compensare l’inflazione e riconoscere una giusta retribuzione agli operai per il lavoro alla catena di montaggio.

Shawn Fain, il presidente del sindacato, ha sintetizzato la questione in modo efficace: “Se hanno i soldi per Wall street, di sicuro li hanno per i lavoratori che fanno il prodotto”. E gli americani sono d’accordo con lui. Negli ultimi anni il sostegno per i sindacati è aumentato in modo significativo, un fatto sorprendente per un paese dove le organizzazioni sindacali non hanno mai goduto di grande simpatia, e senza dubbio uno dei motivi per cui perfino Joe Biden ha più volte commentato positivamente gli scioperi.

Il sostegno allo Uaw, in particolare, è schiacciante: il 75 per cento degli statunitensi appoggia i lavoratori dell’auto. Lo sciopero di questi giorni potrebbe produrre un cambiamento significativo anche al di fuori dell’industria automobilistica, nota ancora Jacobin. Soprattutto, ovviamente, se i lavoratori otterranno dei risultati. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1530 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati