“Trasformare una crisi in un’opportunità” è una frase che rivela chiaramente le intenzioni di chi la pronuncia. L’ho sentita per la prima volta dopo che gli Stati Uniti hanno invaso l’Iraq. Stavo seguendo il settore degli appalti e feci un servizio sulle aziende che usavano questa espressione parlando delle infrastrutture da realizzare nelle zone bombardate.

Alcuni segnali fanno pensare che qualcuno voglia trasformare in un’opportunità anche il terremoto del 6 febbraio. Il dibattito sulle elezioni, cominciato mentre ancora si estraevano persone vive dalle macerie, è un esempio di questo opportunismo politico. Appena terminati i sette giorni di lutto nazionale, l’ex presidente del parlamento Bülent Arınç, tra i fondatori del Partito giustizia e sviluppo (Akp, al governo), ha annunciato la sua soluzione per rinviare il voto, nonostante il parere contrario della corte costituzionale. Secondo Arınç la costituzione non è scritta nella pietra: la disposizione secondo cui le elezioni possono essere rimandate solo in caso di guerra potrebbe essere abolita dal parlamento.

Mentre cerca di legittimare questa operazione, il governo afferma che le vittime del terremoto non sono state affatto abbandonate per tre giorni e tre notti e che le grida di aiuto sono state subito ascoltate. Vuole dare l’impressione di aver lottato contro il tempo fin dalle prime ore, dispiegando nella regione tutti i mezzi disponibili. A quanto pare non ha lasciato al freddo e al buio i sopravvissuti. Ha inviato tende a tutti e non ha lasciato nessuno senza una ciotola di zuppa calda. Non ha costretto nessuno alla vergogna di non potere neanche usare un bagno.

Ma dopo il 6 febbraio in Turchia nessuno può più ingannare nessuno. Il terremoto è stato enorme, ma i cittadini hanno sentito sulla loro pelle la pochezza del governo di fronte al disastro. Migliaia di persone che potevano essere salvate sono morte sotto le macerie a causa dell’incompetenza e dell’arroganza delle istituzioni. Migliaia di edifici che non avrebbero dovuto crollare si sono polverizzati. Nella regione colpita, diventata una scena del crimine, si è cercato di distruggere con le ruspe la sede dell’ufficio per il controllo edilizio, che dovrebbe essere preservato più di ogni altro. Ora si sta facendo qualunque sforzo perché il sistema formato da un’ampia rete criminale di appaltatori, funzionari pubblici, amministratori locali, politici e burocrati del governo centrale, non debba rispondere di nulla, la rendita continui e poltrone, cariche e stipendi non vadano persi.

C’è chi considera il disastro un’opportunità anche sotto altri aspetti. Dalle dichiarazioni delle autorità traspare molta fretta di rimuovere le macerie, che però non sono solo calcinacci.

I proprietari dei beni materiali con o senza valore rimasti negli edifici crollati sono gli abitanti di quelle case. Distruggerle senza il loro consenso è una violazione dei loro diritti. ◆ ga

Da sapere
Un’altra scossa a Hatay

◆ Il bilancio dei due terremoti del 6 e 7 febbraio 2023 ha superato le 48mila vittime accertate, di cui 42mila in Turchia e seimila in Siria. Il governo turco ha interrotto quasi tutte le operazioni di ricerca dei sopravvissuti. Il 20 febbraio una nuova scossa di magnitudo 6,3 ha provocato il crollo di altri edifici nella provincia di Hatay, uccidendo almeno otto persone.

◆ Il 17 febbraio decine di studenti sono stati arrestati a Izmir mentre protestavano contro la decisione di chiudere le università e passare all’insegnamento a distanza. Le residenze universitarie saranno usate per ospitare le persone rimaste senza casa dopo il sisma.


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Questo articolo è uscito sul numero 1500 di Internazionale, a pagina 33. Compra questo numero | Abbonati