Zorana Jevtic, Reuters/Contrasto

Mai, negli ultimi dieci anni, tra le macerie della politica serba si era visto tanto fermento. E mai il presidente Aleksandar Vučić (nella foto) si era trovato a dover correre ai ripari. Alla vigilia delle elezioni presidenziali e legislative del 3 aprile 2022, nel suo schieramento non si muove nulla, c’è solo un evidente nervosismo. Il fermento, da cui il presidente cercherà di difendersi, è tutto all’opposizone. In questa situazione i numeri sbandierati da Vučić (al potere dal 2014, oggi a capo di una coalizione guidata dal Partito progressista serbo, Sns), non vanno presi troppo sul serio. Che i sondaggi siano in suo favore è indiscutibile, anche perché tutto è concentrato nelle sue mani: il potere (di cui abusa), il denaro dei contribuenti (che spende per i propri interessi e non per il bene comune) e l’informazione.

Ma i numeri non dicono tutto. Bisognerà infatti capire cosa succede negli spazi dove s’intrecciano la fiducia e lo scetticismo dei cittadini, dove il desiderio di combattere i parassiti che hanno infestato il paese convive con l’eterno fatalismo, dove la convinzione che le cose possano cambiare si accompagna alla rassegnazione. Ma fino al momento in cui le urne resteranno sigillate, sarà difficile quantificare certi fenomeni. E allora come nutrire la speranza che il governo più distruttivo che la Serbia abbia avuto (accanto, ovviamente, al regime di Slobodan Milošević) sia spazzato via? Se per un momento lasciamo da parte i numeri, il fermento che si osserva quasi ovunque indica che oggi abbiamo davanti, se non un vero cambiamento, almeno un minimo desiderio di darsi da fare, che potrebbe tradursi nella partecipazione al voto. Sono dieci anni che i serbi vivono in una bolla in cui, nonostante l’isteria di Vučić, non succede nulla. Per la maggioranza dell’elettorato, a cui il presidente si rivolge, al di fuori di questa bolla non c’è nulla. Queste persone non cambieranno. Chi, invece, sa che oltre la bolle c’è vita, dovrebbe farla scoppiare. Stavolta dipende solo da lui.

Chi sa non dovrebbe abbandonarsi alla depressione e all’inerzia. Perché queste persone sono sufficienti a ribaltare il regime o, almeno, a privarlo di un importante sostegno. ◆ ab

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Questo articolo è uscito sul numero 1454 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati