Il 30 maggio una giuria di Manhattan ha giudicato Donald Trump colpevole di 34 capi d’accusa per falso in bilancio. Trump è il primo ex presidente degli Stati Uniti a essere condannato e rischia fino a quattro anni di carcere. La sentenza arriverà l’11 luglio, pochi giorni prima della convention repubblicana. È un momento straordinario: non solo un ex presidente è stato condannato per aver commesso quasi trenta reati, ma il Partito repubblicano sta candidando un criminale alla Casa Bianca.
Tra i suoi collaboratori Trump non è l’unico condannato: “Si aggiunge al direttore della sua campagna elettorale, al vicedirettore, al consulente per la sicurezza nazionale, al consulente per la politica estera, al consulente politico e a un avvocato personale, tutti pregiudicati”, ha scritto su X l’analista politico Stuart Stevens.
Sospiro di sollievo
Ancora più straordinario è il fatto che la condanna sembra non conti nulla per gli stessi repubblicani che sostengono di avere a cuore i valori morali, di voler “bonificare la palude” e difendere la legge e l’ordine pubblico. Tuttavia il verdetto potrebbe funzionare da promemoria del caos trumpiano, allontanando gli elettori indecisi o poco coinvolti nella battaglia politica. Sono tentata di scrivere che per molti elettori la sentenza non farà nessuna differenza, anzi potrebbe rafforzare il vittimismo e il desiderio di rivalsa della base elettorale di Trump. Ma la verità è che non ci sono precedenti storici.
A prescindere dal potenziale impatto sulle elezioni, tutti i cittadini convinti che il sistema giudiziario statunitense, per quanto sia imperfetto, dia il meglio di sé quando non distingue tra i potenti e i cittadini comuni ora possono tirare un sospiro di sollievo. Nonostante le argomentazioni degli avvocati di Trump, gli ex presidenti non dovrebbero essere immuni dalla legge. L’accusa ha costruito un impianto solido e la giuria ha ritenuto che la colpevolezza di Trump sia stata dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio.
Ma non è il momento di esultare. A prescindere dall’opinione che si ha di Trump o della sua colpevolezza – penso che sia una persona orribile e palesemente colpevole dei crimini per cui è stato condannato – non è nell’interesse della nazione avere per leader un criminale. La condanna ci ricorda fino a che punto Trump abbia danneggiato gli Stati Uniti e quanto il paese resti diviso quattro anni dopo la sua uscita di scena.
Un nuovo titolo
A peggiorare la situazione è il fatto che i più fedeli sostenitori di Trump credono che questo processo e gli altri tre che lo riguardano siano una farsa e la dimostrazione che un potente deep state (stato profondo, l’insieme dei poteri forti che cercano di manipolare le istituzioni) vuole abbattere un eroe.
Come fa un paese a normalizzarsi quando la sua maggioranza crede che un criminale condannato sia il buono e che il problema sia che i sistemi giudiziari e democratici, da tempo rispettati, gli hanno detto che deve giocare secondo le regole? Difficilmente Trump andrà in carcere prima delle elezioni del 5 novembre. E anche se dovesse succedere, presenterà ricorso.
Ma anche se Trump resterà un uomo libero fino alle elezioni, porterà con sé un nuovo titolo: quello di primo ex presidente degli Stati Uniti a essere stato condannato. ◆ as
Jill Filipovic è una giornalista e avvocata statunitense nata nel 1983.
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Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati