“Il posto più sicuro in cui nascondersi dai bombardamenti israeliani è una postazione militare di Hamas”, scherzavano gli abitanti di Gaza durante l’ultima serie di attacchi, tra il 5 e il 7 agosto. Il problema è che è vero. Israele ha fatto di tutto per assicurarsi di non colpire le strutture di Hamas, mentre si accaniva contro la Jihad islamica palestinese, che rispondeva con il lancio di razzi.

Lo scopo del governo israeliano era evitare di coinvolgere Hamas, trasformando l’escalation in una guerra indesiderata. Il premier Yair Lapid e il ministro della difesa Benny Gantz hanno potuto mostrare di aver assestato un duro colpo al terrorismo, guadagnando qualche punto in vista delle prossime elezioni senza provocare conseguenze significative. Da parte sua Hamas, su richiesta di Israele, si è assicurata che le azioni della Jihad islamica non andassero oltre un certo limite. Inoltre, ha lavorato con i mediatori di Egitto e Qatar per arrivare alla tregua.

Gli osservatori sono stati sorpresi da questa svolta. Ma viene da chiedersi: se Israele ha dimostrato la capacità di distinguere tra Hamas e la Jihad islamica, perché non ha usato la stessa attenzione nei confronti degli abitanti della Striscia, soprattutto donne e bambini? Secondo le stime palestinesi, i morti nelle ostilità sono stati 44, compresi quindici bambini.

Quattro giorni prima dell’inizio degli attacchi, Israele ha sigillato i confini di Gaza per mettere pressione sulla Jihad islamica. Questo ha impedito alle persone di andare al lavoro o di farsi curare, e ai rifornimenti di carburante di raggiungere l’unica centrale elettrica, che il 6 agosto è stata chiusa. Senza poter accendere un ventilatore, la notte del 6 agosto Khalil Hamda, 19 anni, è uscito in strada a Jabalia per sfuggire al caldo. In pochi secondi la sua vita e quella di altri quattro minori sono state spazzate via da un’esplosione. La stessa notte altri bambini feriti sono stati estratti dalle macerie di un palazzo bombardato dagli israeliani nel campo profughi di Rafah. L’attacco ha ucciso otto persone, tra cui Khaled Mansour, comandante della Jihad islamica. Era il risultato di cui il governo israeliano aveva bisogno per mettere fine allo scontro. Ma a Gaza gli omicidi mirati hanno sempre la stessa conseguenza: rafforzare la Jihad islamica e legittimare la resistenza armata.

Discorsi inutili

Con il cessate il fuoco sono arrivati i discorsi scontati e noiosi con cui le parti si dichiarano vincitrici. Quanti bambini devono essere uccisi, mutilati o resi orfani, quante case distrutte, quanto odio creato prima che i leader si rendano conto della vacuità delle loro parole?

Da sapere
Lotta armata

◆ La Jihad islamica palestinese è stata fondata nel 1981 a Gaza da Fathi Shaqaqi. Con Hamas condivide l’uso della lotta armata per la liberazione della Palestina e l’opposizione all’esistenza d’Israele. I due gruppi hanno combattuto insieme nelle offensive scatenate da Israele sulla Striscia nel 2008, 2012, 2014 e 2021. Ma hanno posizioni opposte su altre questioni. Le divergenze sono aumentate nel 2018 quando è diventato capo della Jihad islamica Ziyad al Nakhalah, che si è avvicinato di più all’Iran.

◆Il 5 agosto 2022 Israele ha lanciato un’operazione contro il gruppo nella Striscia di Gaza. Le tensioni erano aumentate il 1 agosto, quando le forze israeliane avevano arrestato un leader della Jihad islamica in Cisgiordania. La sera del 7 agosto è entrato in vigore il cessate il fuoco.

Le Monde, Al Jazeera


La soluzione al conflitto può essere solo diplomatica, lo dimostra l’intesa tra Israele e Hamas per cui la calma è ripagata con l’allentamento dell’embargo. Le azioni militari rendono i prossimi scontri solo una questione di tempo, condannandoci a un ciclo infinito di violenza, distruzione e dolore. Per fortuna questa escalation non si è trasformata in guerra. Ma mentre gli israeliani uscivano dai rifugi per tornare alla vita di tutti i giorni, i palestinesi di Gaza tornavano al loro abisso di non vita: miseria, oscurità e isolamento.

Per garantire una situazione sostenibile nel sud, Israele dovrebbe lavorare per curare le ferite di Gaza, invece di gettarci sopra periodicamente del sale. ◆ dl

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Questo articolo è uscito sul numero 1474 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati