C’è qualcosa, nei romanzi che richiamano ambientazioni dominicane, giamaicane o portoricane, che riecheggia in me. Forse sono le isole. O forse sono condizionata da un saggio letto di recente sull’apoteosi di James Cook. Sta di fatto che il libro di esordio di Xochitl Gonzalez mi parla, e molto. L’incipit è memorabile: Olga è una wedding planner di Brooklyn che riflette sui seicento tovaglioli di lino pregiato che una cliente ha ordinato per il matrimonio della figlia. Un pezzo di stoffa diventa il pretesto per parlare di redistribuzione delle risorse e accumulo di ricchezza, povertà e capitalismo, etica e profitto. Il fratello di Olga, Prieto, è un deputato, un Obama latinoamericano alle prese con la gentrificazione. Il ritmo del racconto è interrotto dalle lettere che la madre gli ha inviato negli anni: Blanca si è unita a un gruppo di rivoluzionari, lasciandoli con un padre che sarebbe morto di aids. Le lettere sono il fulcro dei movimenti dei due personaggi, ciò che li spinge verso una continua ricerca di riconoscimento materno, di amore e di dimostrarsi all’altezza. Ma sono anche l’elemento che muove in una direzione contraria: Olga con i suoi ricchi catering e Prieto con un lavoro per un governo imperialista. Le parentesi epistolari non riescono a scrollarsi un intento educativo (mi ricordano i corsivi di Elizabeth Acevedo), mentre il meglio della scrittura di Gonzalez è nella sua capacità narrativa. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati