Nell’estate del 2021 mi è capitata una serie di coincidenze dai contorni decisamente soprannaturali. Ecco com’è cominciato tutto. Quando faccio sogni particolarmente vividi o insoliti, ho l’abitudine di annotarli subito in un diario. Non è una cosa che mi succede spesso, ma quell’estate me ne sono scritto uno in cui la più vecchia amica di mia madre, una signora di nome Rose, mi diceva di essere appena morta. Il mattino dopo mi sono reso conto di non sapere se Rose fosse ancora viva o no. Pensandoci, probabilmente no. Una decina d’anni prima aveva avuto un brutto infarto, seguito da una serie di episodi minori che l’avevano fatta precipitare in uno stato pietoso di demenza.

A colazione ho raccontato il sogno alla mia compagna, che però non era molto interessata. Al tempo vivevamo nelle Midlands, nel Regno Unito, nella casa dove avevo passato gli ultimi anni della mia infanzia. Era inutilizzata da mesi. Mio padre, Mal, era mancato da tempo e mia madre, Doreen, era in una casa di cura e stava inesorabilmente scivolando verso gli stati avanzati dell’Alzheimer. Avevamo appena venduto la proprietà dove vivevamo e la nostra futura casa non era ancora pronta: la vecchia casa era la sistemazione ideale in attesa che finissero i lavori.

Angelo Monne

Non ho più pensato a quello strano sogno finché, un paio di settimane dopo, siamo tornati dal supermercato e abbiamo trovato un biglietto infilato nella cassetta delle lettere. Era indirizzato a mia madre ed era di Maggie, la figlia di Rose. Sua madre, scriveva, era morta “due settimane fa”. Il funerale ci sarebbe stato pochi giorni dopo. Ho fatto leggere il biglietto alla mia compagna e le ho ricordato il mio sogno. “Strano”, ha detto, continuando a scaricare le buste della spesa. Sì, strano. Nemmeno mi ricordavo l’ultima volta che Rose era stata nei miei pensieri, ed eccola che mi appariva in sogno con la notizia della sua morte.

Cosa significa tutto questo? Prima possibile interpretazione: Rose è morta, il suo spirito incorporeo ha sentito il bisogno di dirmelo e mi si è palesato in sogno. Magari, all’inizio, ha provato a contattare Doreen, ma per un motivo o per l’altro – le macerie impenetrabili di un cervello danneggiato? – non c’è riuscita. Altra interpretazione: l’intera catena degli eventi è stata una pura coincidenza, una successione casuale di fatti senza alcun significato profondo. Non c’è nulla di soprannaturale.

Se mi chiedete quale preferisco tra le due interpretazioni, la mia risposta è, inequivocabilmente, la seconda. Ma c’è un problema. Una parte di me, mio malgrado, non rinuncia a considerare la possibilità che il mondo abbia davvero delle dimensioni soprannaturali. È la stessa parte di me che si spaventa per le storie di fantasmi, e si sentirebbe a disagio a passare la notte in un obitorio. Non credo che l’universo contenga forze soprannaturali, ma sento che esiste questa possibilità. Il fatto è che la mente umana ha elementi fondamentalmente irrazionali. Oserei dire, anzi, che il pensiero magico forma la base dell’individualità. La nostra esperienza di noi stessi e degli altri è essenzialmente un atto d’immaginazione che non può essere supportato da pensieri pienamente razionali. Vediamo la luce della coscienza negli occhi dell’altro e, irresistibilmente, dietro quegli occhi immaginiamo una specie di sé etereo, vibrante di sensazioni e pensieri, quando in realtà non c’è altro che la sostanza scura e silenziosa del cervello. È un’illusione necessaria, profondamente radicata nella nostra storia evolutiva. La coincidenza, o meglio l’esperienza della coincidenza, scatena pensieri magici altrettanto profondamente radicati.

La parola coincidenza abbraccia una vasta gamma di fenomeni, da quelli cosmici (in un’eclissi solare totale, il disco della Luna e il disco del Sole, per pura coincidenza, sembrano avere lo stesso diametro) a quelli personali e familiari (mia nipote compie gli anni lo stesso giorno della mia defunta moglie). A livello umano ed esperienziale possiamo fare una distinzione di massima tra serendipità – la scoperta o lo sviluppo di eventi puntuali e tempestivi ma non pianificati – e quella che Paul Kammerer, biologo lamarckiano e compilatore di coincidenze, chiamava serialità, “una ricorrenza regolare di cose o eventi identici o simili nel tempo e nello spazio”.

Angelo Monne

Un ottimo esempio di serialità ci viene da Holly­wood. Lyman Frank Baum è stato un prolifico autore di libri per bambini, noto soprattutto per Il meraviglioso mago di Oz (1900). Non è sopravvissuto abbastanza per vedere il suo romanzo adattato per il cinema nel famosissimo film del 1939 al quale però, a quanto pare, è legato da una serie di coincidenze. Nel Mago di Oz l’attore Frank Morgan interpreta cinque ruoli, tra cui quello del mago. Lo vediamo entrare in scena per la prima volta nella sequenza iniziale, girata in toni seppia, nei panni del professor Meraviglia, un indovino girovago. Secondo la mitologia cinematografica, il cappotto indossato dall’attore durante il provino fu ritenuto troppo pulito per un mago itinerante. I costumisti furono spediti in missione tra i mercatini dell’usato per cercare qualcosa di più adatto, e tornarono con un mucchio di roba. Il cappotto su cui cadde la scelta sembrava fatto su misura per Morgan. Più tardi si scoprì che nella fodera della giacca c’era cucita un’etichetta con la scritta: “Confezionato da Hermann Bros espressamente per L. Frank Baum”. Baum era morto una ventina d’anni prima, ma la provenienza del cappotto fu apparentemente autenticata dalla sua vedova, che lo accettò in regalo alla fine delle riprese.

Se immaginiamo un continuum delle coincidenze, dalle più banali alle più straordinarie, l’esempio di Baum si collocherebbe sicuramente verso destra, tra quelle più strane. Altri esempi, più ordinari, sono molto frequenti. Cominciamo a chiacchierare con uno sconosciuto in treno e scopriamo di avere un conoscente in comune. Pensiamo a qualcuno e un attimo dopo lui ci chiama. Leggiamo una parola insolita su una rivista e contemporaneamente qualcuno alla radio dice la stessa parola. Questi episodi ci strappano al massimo un sorriso beffardo, ma quelli più strani possono indurre un forte senso di inquietudine. Per un momento il mondo sembra pieno di connessioni e forze misteriose.

È uno stato mentale che somiglia all’apofenia – la tendenza a percepire collegamenti significativi, e di solito sinistri, tra eventi non correlati –, un preludio comune all’insorgere delle illusioni psicotiche. Le differenze individuali hanno spesso un ruolo in questo tipo di coincidenze. La schizotipia è una dimensione della personalità caratterizzata da esperienze che in un certo modo rispecchiano, in forma attenuata, i sintomi della psicosi, come l’ideazione magica e la credenza nel paranormale. Alcuni dati indicano che all’interno della popolazione le persone con alti livelli di schizotipia sono anche più soggette a incorrere in coincidenze significative e nel pensiero magico. Forse i soggetti schizotipici sono anche influenzati più fortemente dalle coincidenze. Magari chi ha un livello di schizotipia alto si spaventa di più per un sogno premonitore di morte rispetto a me, che ho un livello basso.

Ho messo naturalismo e soprannaturale in contrapposizione binaria, ma forse c’è una terza via. Chiamiamola “posizione soprannaturale”. È la posizione adottata, sia pure con approcci diversi, da Kammerer e dallo psicologo svizzero Carl Jung. Le radici del caso (Astrolabio 1978) di Arthur Koestler ha introdotto il lavoro di Kammerer nel mondo anglofono, e ha contribuito a ravvivare l’interesse per le teorie di Jung. Nel 1900 Kammerer cominciò a prendere nota delle coincidenze, anche le più incredibilmente banali. Per esempio, scrive, il 4 novembre 1910 suo cognato era andato a un concerto e sia il posto suo a sedere sia il biglietto del guardaroba avevano il numero nove. Il giorno dopo era andato a un altro concerto, e il posto a sedere e il biglietto del guardaroba avevano entrambi il numero 21.

Il saggio di Kammerer Das Gesetz der Serie (1919), in italiano “La legge di serialità”, contiene cento casi di coincidenze classificate per tipologia, morfologia, potenza e via dicendo, con “la meticolosità di uno zoologo dedito alla tassonomia”, come scrive Koestler. La seconda metà del libro è dedicata alla teoria. La grande idea di Kammerer è che insieme alla causalità ci sia un principio acausale a regolare l’universo, qualcosa di analogo alla gravità. Ma mentre la gravità agisce universalmente sulla massa, questa forza acausale universale, scrive Koestler, “agisce selettivamente sulla forma e la funzione per creare configurazioni simili nello spazio e nel tempo; crea correlazioni per affinità”. Kammerer riassume così il concetto: “Noi, pertanto, arriviamo all’immagine di un mosaico-mondo o caleidoscopio cosmico che, nonostante i rimescolamenti e i rimaneggiamenti costanti, fa in modo di mettere insieme le cose simili”. Sembra una cosa improbabile, ma Albert Einstein, per esempio, prese Kammerer sul serio e definì il suo libro “originale e per nulla assurdo”.

C’è una parte di me che, mio malgrado, non rinuncia a considerare la possibilità che il mondo abbia davvero delle dimensioni soprannaturali

La teoria della sincronicità, o coincidenza significativa, proposta da Jung segue coordinate simili. La teoria si sviluppò nel corso di vari decenni attraverso una confluenza d’idee provenienti dalla filosofi e dalla fisica, dall’occulto e dalle sorgenti del pensiero magico che ribollivano nel profondo della mente prodigiosamente creativa (e a volte quasi psicotica) dello stesso Jung. Certe coincidenze, scrive, non sono semplicemente un insieme casuale di eventi non correlati, né gli eventi sono collegati causalmente: sono collegate in modo acausale in virtù del loro significato. La sincronicità è il “principio dei nessi acausali”.

Secondo quanto scrive il fisico e storico della scienza Arthur I. Miller in L’equazione dell’anima. L’ossessione per un numero nella vita di due geni (Rizzoli 2009), Jung considerava questa una delle sue idee migliori, e citava Einstein tra le sue influenze. Nei primi anni del novecento, in diverse occasioni Einstein fu ospite a cena a casa della famiglia Jung a Zurigo e fece una notevole impressione sullo psicologo. Jung traccia una linea diretta tra quelle cene con Einstein e il suo dialogo di trent’anni dopo con il fisico Wolfgang Pauli, dialogo che portò a compimento il concetto di sincronicità. Dalle loro discussioni emerse la congettura Pauli-Jung, una sorta di teoria che considerava il piano mentale e il piano fisico come due aspetti diversi di una realtà sottostante più profonda.

Jung fu il primo a portare le coincidenze nel campo dell’indagine psicologica e le usò anche nella pratica analitica. Per spiegare la sincronicità in campo clinico, era solito raccontare un aneddoto su uno scarabeo d’oro. Un giorno, nel suo studio, una giovane paziente stava descrivendo un sogno in cui riceveva in dono uno scarabeo d’oro quando Jung sentì battere delicatamente alla finestra alle sue spalle; si voltò e vide un insetto volante che picchiettava sul vetro. Aprì la finestra e afferrò l’insetto mentre volava nella stanza: era una cetonia aurata, “l’analogia più prossima a uno scarabeo d’oro che si possa trovare alle nostre latitudini”. L’episodio si rivelò un momento di svolta nella terapia della paziente. Secondo Jung, la donna era “un caso straordinariamente difficile” per via del suo eccesso di razionalità, ed evidentemente “era necessario qualcosa di molto irrazionale” per rompere le sue difese. La coincidenza del sogno e dell’intrusione dell’insetto fu la chiave del progresso terapeutico. Lo scarabeo, aggiunge Jung, è un “classico esempio di simbolo di rinascita”, con radici nella mitologia egizia.

Mentre Kammerer ipotizza fattori impersonali e acausali intersecati al nesso causale dell’universo, il principio dei nessi acausali di Jung è collegato alla psiche, e più specificamente agli archetipi dell’inconscio collettivo. Nella più ampia teoria junghiana questi archetipi sono strutture primordiali della mente, comuni a tutti gli esseri umani. Riesumando un termine antico, Jung immagina un unus mundus, un mondo unificato in cui la sfera mentale e quella fisica sono integrate, e dove gli archetipi sono strumentali nel dare forma alla mente e alla materia. È una visione ambiziosa, ma – viene da chiedersi – dove sono le prove di tutto ciò? Oltre all’aneddotica, non ce ne sono.

Pauli vede un’influenza archetipica nelle teorie scientifiche di Giovanni Keplero, il padre dell’astronomia moderna e, come scrive lo psichiatra evolutivo Anthony Stevens in Private myths (1995), si può ipotizzare un fondamento biologico degli archetipi in analogia con i meccanismi innati di rilascio descritti dagli etologi. Se fosse così, l’idea che le strutture archetipiche abbiano un’influenza nel plasmare il pensiero e il comportamento diventerebbe plausibile. Ma addirittura l’intero universo? A parte Pauli, la teoria della sincronicità ha trovato scarso supporto nella comunità scientifica.

La scienza cognitiva contemporanea offre una cornice concettuale più solida, anche se meno pittoresca, per spiegare le coincidenze. Siamo predisposti a incorrere nelle coincidenze perché la loro rilevazione, potremmo dire, riflette il modus operandi fondamentale del nostro sistema cognitivo e percettivo. Il cervello cerca degli schemi nel flusso dei dati sensoriali che riceve dal mondo. Attribuisce a questi schemi un significato e, a volte, un’azione (spesso a torto), e all’interno di tale processo sviluppa convinzioni e aspettative utili a dare forma alle percezioni e ai comportamenti futuri. La coincidenza, nel semplice senso di co-occorrenza, influenza la rilevazione degli schemi, soprattutto al livello di riconoscimento di relazioni causali, e dunque ne aumenta la prevedibilità. Il “mondo” non si presenta semplicemente attraverso gli occhi e gli altri sensi. I sistemi percettivi del cervello sono proattivi: costruiscono un modello del mondo tentando continuamente di confrontare i dati sensoriali in entrata “dal basso verso l’alto” con le anticipazioni e le previsioni “dall’alto verso il basso”. I dati sensoriali grezzi servono a raffinare le migliori ipotesi del cervello rispetto a ciò che sta accadendo, più che a costruire il mondo da zero in ogni momento. Il cervello, detto semplicemente, è costantemente alla ricerca di coincidenze.

Da uno studio ad ampio raggio delle ricerche in campo psicologico e neurocognitivo, Michiel van Elk, Karl Friston e Harold Bekkering concludono che la sovrageneralizzazione di questi modelli predittivi ha un ruolo cruciale nell’esperienza della coincidenza. Influenzati da bias cognitivi, automatismi mentali profondamente radicati (di autoattribuzione, di conferma) e non attrezzati per fare stime precise del caso e della probabilità, abbiamo un’inclinazione innata a vedere (e a sentire) schemi e collegamenti dove in realtà non esistono. “Inclinazione innata” perché, in termini evolutivi, la tendenza a rilevare coincidenze dove non ce ne sono è adattiva. Un altro fattore determinante della coincidenza è ciò che il linguista Arnold Zwicky chiama “illusione di frequenza”, una definizione che oggi è riportata anche dall’Oxford English Dictionary:

illusione di frequenza, s.f., un capriccio della percezione per cui un fenomeno che ha catturato solo di recente la nostra attenzione all’improvviso ci sembra onnipresente.

Incontriamo una parola per la prima volta e poi, nella stessa giornata, ci capita di leggerla o di sentirla ripetere. Oppure ci mettiamo al volante di un’automobile che non abbiamo mai guidato e, improvvisamente, la stessa marca e lo stesso modello sembrano spuntare dappertutto. Questo fenomeno è dovuto a una combinazione di due processi psicologici ben noti agli studiosi: l’attenzione selettiva (focalizzarsi su oggetti ed eventi salienti) e il bias di conferma (cercare oggetti ed eventi che supportano le nostre convinzioni e percezioni, e ignorare i dati che le smentiscono).

Van Elk e i suoi colleghi non sono stati i primi a segnalare l’inaffidabilità dei giudizi intuitivi sulla probabilità come fattore della percezione della coincidenza. Vari altri autori prima di loro – per esempio, Stuart Sutherland nel suo saggio Irrazionalità (Lindau 2010) – hanno osservato che le credenze paranormali, tra cui la convinzione che alcune coincidenze siano soprannaturali, nascono da carenze dell’intuizione probabilistica. Il cosiddetto paradosso del compleanno, spiegato in tutti i corsi sulla teoria della probabilità, le rivela in modo assai convincente. Agli studenti viene chiesto qual è la probabilità che, all’interno di un gruppo selezionato a caso, due persone compiano gli anni nello stesso giorno. La maggior parte rimane sorpresa nell’apprendere che è sufficiente mettere insieme 23 persone perché quella probabilità superi il 50 per cento. Da un po’ di tempo sto pensando di tentare un semplice esercizio empirico sulle date di morte che riproduca in modo speculare il paradosso del compleanno.

Angelo Monne

Quanto alle coincidenze oniriche, supponiamo che la probabilità che un sogno corrisponda incidentalmente a eventi reali sia una su diecimila, e che una persona ricordi solo un sogno per notte. La probabilità di fare un sogno “corrispondente” in una notte qualsiasi è 0,0001 (cioè una su diecimila), il che significa che la probabilità di un sogno “non corrispondente” è 0,9999. La probabilità di passare due notti consecutive facendo sogni non corrispondenti è 0,9999 moltiplicato 0,9999. La probabilità di fare sogni non corrispondenti ogni notte per un anno intero è 0,9999 moltiplicato per se stesso 365 volte, cioè 0,9642. Arrotondando, significa che secondo la nostra ipotesi in un anno ci sarebbe una probabilità del 3,6 per cento che una persona faccia un sogno che corrisponde o “predice” eventi reali. In un arco temporale di vent’anni, le probabilità di fare un sogno premonitore sarebbero ancora di più.

Rose, la donna che mi ha annunciato la sua morte in sogno, aveva novant’anni, e nel Regno Unito la probabilità che una donna di novant’anni muoia prima del suo novantunesimo compleanno è circa 1 su 6, quindi non è remota . Data la sua storia clinica, forse la probabilità che Rose morisse prima del suo novantunesimo compleanno era molto più alta. Ma la domanda è: perché l’ho sognata? Certo, non stavo pensando consapevolmente a lei, ma stando nella mia casa d’infanzia i richiami impliciti erano molti. Rose abitava vicino a noi e veniva spesso nella nostra casa. Inoltre, il fatto di essere andato a trovare mia madre più del solito alla casa di cura può avermi fatto pensare alla morte a livello sia conscio sia inconscio, e forse (inconsciamente) anche alla sua amicizia con Rose.

I tentativi di comprendere la coincidenza, quindi, vanno da stravaganti congetture su forze acausali che influenzerebbero il funzionamento dell’universo a sobri studi cognitivi che smontano i meccanismi di base della mente. Ma c’è un’altra cosa da tenere presente. Le coincidenze “singolari” avvengono: lo fanno senza che ci sia un loro significato intrinseco e indipendentemente dal funzionamento del nostro cervello affamato di schemi. Come osserva lo statistico David Hand, “gli eventi estremamente improbabili sono comuni”. Questo fenomeno, definito da Hand “principio d’improbabilità”, attinge a filoni diversi della statistica, tra cui la legge dei numeri molto grandi, secondo la quale “con un campione sufficientemente grande, qualunque stranezza è possibile”. Ogni settimana, in tutto il mondo qualcuno vince alla lotteria, anche se in ogni singolo caso la probabilità di vincere è una su svariati milioni. Eppure, nonostante questa straordinaria improbabilità statistica, a diverse persone è capitato di vincere alla lotteria più di una volta.

Anche se sono un naturalista, le coincidenze mi aprono uno scorcio su quello che vede un soprannaturalista, facendo vacillare per un attimo la mia visione del mondo. Alla fine, però, torno sempre sulle mie posizioni. Un ultimo aneddoto tratto dal mio archivio personale illustra bene questo punto. Riguarda una meta-coincidenza, cioè una coincidenza su una coincidenza. Era un pomeriggio di metà giugno, faceva caldo e mi stavo piangendo addosso. La mia compagna mi aveva lasciato da una settimana, e pensavo che avviare un nuovo progetto fosse un buon modo per combattere l’autocommiserazione. Ho cominciato a fare delle ricerche sulla psicologia della coincidenza. E così mi sono ritrovato in poltrona, circondato da libri e articoli sull’argomento, tra cui Le radici del caso di Koestler. Tra le altre cose, stavo leggendo la storia dello scarabeo d’oro di Jung.

Avevo bisogno di un caffè, perciò ho messo da parte Koestler e sono andato in cucina. Al mio ritorno ho trovato, adagiato sulla mia poltrona, un coleottero dorato, una cetonia aurata come quella che aveva bussato alla finestra dello studio di Jung. Doveva essere entrata dalla porta del balcone, che era spalancata. Le ho fatto subito una foto, temendo che volasse via, poi l’ho spinta delicatamente nel palmo della mia mano per rigettarla nella natura, ma lei si è rotolata sulla schiena ed è rimasta lì, immobile. Morta.

Ho inviato la foto alla mia ex e le ho chiesto come stava. Non mi ha risposto, ma la sera mi ha chiamato per darmi una notizia sconvolgente. Zoe, una nostra conoscente, si era impiccata quello stesso pomeriggio all’albero del giardino del suo ex compagno. Il mio cervello era in modalità magica, e ho detto che non potevo fare a meno di collegare la morte di Zoe all’apparizione, e alla morte, dello scarabeo d’oro. Naturalmente non credevo che ci fosse un collegamento, ma sentivo che poteva esserci. Credere e sentire. C’era una cosa che mi girava in testa. Nella mitologia greca, tutto ciò che il re Mida toccava si trasformava in oro. Sua figlia si chiamava Zoe, e anche lei fu trasformata in oro.

Sì, d’accordo, però la cetonia aurata è molto comune nel sud dell’Inghilterra, si attiva quando fa caldo e il mio balcone affaccia su una marcita (un tipico habitat della cetonia aurata). E poi, qualche tempo dopo, qualcuno mi ha detto che l’insetto, probabilmente, non era veramente morto ma stava facendo finta. Magari, dopo che l’ho gettato di nuovo nella marcita, c’è stata una di quelle “rinascite”, di cui queste creature sarebbero il simbolo.

Strano, però. ◆ fas

Paul Broks è un neuropsicologo britannico. Il suo ultimo libro pubblicato in Italia è Scura è la notte, luminose le stelle (Atlantide 2019). Questo articolo è uscito sul giornale online Aeon, che si occupa di filosofia e cultura, con il titolo Are coincidences real?

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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati