Due mesi fa, il 19 settembre 2023, moriva Gianni Vattimo. Una vita immensa, spesa tra filosofia e politica, che lo ha portato a formulare tesi fondamentali per la contemporaneità, dal “pensiero debole” alle complessità delle società “trasparenti” in cui viviamo. La filosofia spesso funziona così, sovrana e inafferrabile: passeranno decenni prima che sia riconosciuta appieno la grandezza del pensiero di Vattimo, il suo aver capito per primo il relativismo di ogni presunta certezza scientifica o normativa. A questo proposito, alla fine degli anni ottanta scriveva: “In un’epoca in cui l’umanità si vede sempre più minacciata nelle stesse elementari possibilità di sopravvivenza (la fame, la morte atomica, l’inquinamento) la nostra radicale fratellanza con gli animali si presenta in una luce più immediata ed evidente”. Nei suoi ultimi anni di vita Vattimo è stato spesso trattato come un anziano signore che non aveva più nulla di rilevante da dire. Un atteggiamento che avvicina i vecchi agli animali: la fratellanza s’interrompe, perché i vecchi non sono più in grado di partecipare al patto sociale come produttori di ricchezza. Così pensiamo di difenderli o di prenderci cura di questi “altrove” facendoci gli affari loro: decidendo quando devono morire, quando vivere, e quanto sono ancora in grado di fare i filosofi. La radicale fratellanza di cui parla Vattimo è anche il senso della sua filosofia più intima: il pensiero non è debole, ma ricava la sua forza dall’assenza di pensiero unico. Insieme, con punti di vista e forme di vita diverse, possiamo praticare alleanze: è il tempo della debolezza. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati