“Il giorno delle elezioni dovrete rispondere a una sola domanda: volete un’Europa islamizzata o un’Europa europea?”. Questa scelta estrema è stata posta da Marion Maréchal, politica dell’estrema destra francese, al momento del lancio della campagna elettorale per le elezioni europee di giugno. In un discorso provocatorio, Maréchal ha parlato di un’Europa assediata “da potenze straniere e organizzazioni islamiche che approfittano dell’immigrazione fuori controllo per destabilizzare, traviare i giovani e organizzare qualcosa di simile a una quinta colonna nei nostri paesi, reclutando soldati jihadisti”. Durante l’evento altri politici hanno parlato di un’Europa presa in ostaggio dagli attivisti lgbtq, dai fanatici ambientalisti e dagli ideologi antioccidentali.

Eppure, nonostante questa rabbia apocalittica, nessuno si è spinto fino a promettere di portare la Francia fuori dell’Unione europea. Reconquête, il partito di Maréchal, accusa le élite di aver orchestrato la sostituzione etnica dei cristiani con i musulmani, ma allo stesso tempo cerca di ritagliarsi uno spazio nei corridoi del potere. Oggi in tutto il continente l’obiettivo dei partiti di estrema destra non è uscire dall’Unione ma prenderne il controllo. In questo trovano ispirazione nella presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni.

Da quando Meloni guida la coalizione di destra al governo, ci sono stati attacchi ai gruppi lgbtq e alle organizzazioni che si occupano del soccorso ai migranti, è aumentato il controllo sulla tv pubblica e la maggioranza in parlamento sta cercando di cambiare la costituzione per ampliare i poteri del governo. Ma Meloni si è distinta soprattutto a livello europeo: combinando un solido atlantismo e un’opposizione instancabile all’immigrazione e alle politiche per il clima, è diventata una forza di primo piano nel continente.

Dopo aver vinto le elezioni, nell’ottobre 2022, Meloni ha sorpreso tutti adottando un atteggiamento pragmatico e decidendo di archiviare le critiche all’Unione europea. A Bruxelles si è costruita la reputazione di abile diplomatica. Ha guadagnato influenza politica dopo aver contribuito a convincere il primo ministro ungherese a non bloccare gli aiuti all’Ucraina. L’accordo con Budapest è costato caro all’Unione – la Commissione europea ha sbloccato 10,2 miliardi di euro di fondi destinati all’Ungheria – ma resta il fatto che Meloni ha avuto un ruolo cruciale nel convincere Orbán.

Spina nel fianco

Secondo alcuni Meloni non si limita a seguire la politica europea ma la definisce. Fareed Zakaria, commentatore della Cnn, ha parlato di “momento Meloni” in Europa, azzardando un paragone con il ruolo avuto in passato da Angela Merkel, l’ex cancelliera tedesca. Sul piano della politica economica l’affermazione è quanto meno discutibile, dato che l’economia italiana non è in grado di trainare quella europea. Ma il paragone non è del tutto campato in aria. In altri settori, infatti, Roma sembra dettare la linea di Bruxelles.

Meloni è in prima linea nel tentativo dell’Europa di affidare la gestione dei flussi migratori ai governi autoritari del Nordafrica

È il caso dell’immigrazione. Meloni è in prima linea nel tentativo dell’Europa di affidare la gestione dei flussi migratori ai governi autoritari del Nordafrica. Nel luglio 2023 la presidente del consiglio è andata in Tunisia per annunciare un accordo per ridurre le partenze verso l’Europa, e a marzo ha fatto lo stesso in Egitto.

In entrambe le occasioni al suo fianco c’era la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che a gennaio ha sostenuto il piano per le relazioni tra l’Africa e l’Unione presentato dall’Italia. Mentre i paesi europei concordano nuove regole per gestire i migranti che sbarcano sul continente, l’Italia lavora per ostacolarne in ogni modo l’arrivo.

Meloni è stata una spina nel fianco anche sulla transizione ecologica. La presidente del consiglio italiana ha cercato a più riprese di neutralizzare o limitare le politiche dell’Europa pensate per affrontare la crisi climatica. Nel febbraio 2024 l’Italia ha votato contro la Nature restoration law, introdotta per risanare gli ecosistemi naturali. È significativo che in quell’occasione abbia votato contro la legge anche il Partito popolare europeo (Ppe), di centrodestra, il gruppo politico più numeroso del parlamento europeo, di cui fanno parte anche i Cristiano-democratici tedeschi. Il Ppe, già impegnato a ridimensionare lo slancio ambientalista dell’Unione, ha dichiarato che la nuova legge era un attacco contro gli agricoltori, gli stessi che di recente hanno manifestato in molte città europee. Alla fine la legge è stata approvata grazie al voto favorevole di alcuni parlamentari dissidenti di centrodestra. Ma la volontà di far deragliare un divieto sui nuovi motori a combustione lascia pensare che la collaborazione tra l’estrema destra e i conservatori tradizionali sarà riproposta in futuro.

I sondaggi in vista delle elezioni di giugno suggeriscono che le forze di destra e di estrema destra potrebbero ottenere intorno al 50 per cento dei seggi al parlamento europeo. Per molti esponenti della destra radicale si tratta di un’occasione unica per mettere fine alla grande coalizione tra socialisti e cristiano-democratici che domina da tempo la politica europea, sostituendola con un’alleanza conservatrice che possa conquistare tutti gli incarichi più importanti in sede europea.

All’atto pratico questa coabitazione sembra difficile, perché i leader di centrodestra ribadiscono di volersi alleare solo con i partiti schierati dalla parte dell’Unione europea, della Nato, dell’Ucraina e dello stato di diritto. Questa definizione esclude automaticamente buona parte dei partiti di estrema destra in Europa, almeno per il momento. Meloni, invece, rispetta tutti i criteri. In questo momento alcune forze più radicali stanno seguendo l’esempio della presidente del consiglio italiana, ricalibrando le proprie posizioni politiche. In Francia i vertici del Rassemblement national di Marine Le Pen stanno facendo marcia indietro sulle precedenti dichiarazioni contro la Nato e stanno prendendo le distanze dai partiti più intransigenti, come Alternative für Deutschland in Germania.

Perfino Orbán, a lungo considerato una pecora nera della politica europea, sta cercando di uscire dal suo isolamento in vista della presidenza ungherese dell’Unione, che comincerà a luglio. Ormai Orbán dichiara di voler entrare nei Conservatori e riformisti europei dopo le elezioni di giugno. A quanto pare il gruppo, guidato da Meloni, sembra disposto ad accogliere il partito di governo ungherese, anche se la vicinanza tra Orbán e Putin potrebbe rappresentare un ostacolo insormontabile.

Un quarto dei seggi

Il gruppo dei Conservatori e dei riformisti europei, dominato da Fratelli d’Italia e dai polacchi di Legge e giustizia, non è l’unico di estrema destra in Europa. C’è anche Identità e democrazia, di cui fanno parte la Lega italiana e il Rassemblement national francese. I rapporti tra i due gruppi non sono ottimi. A marzo Le Pen ha accusato Meloni di voler sostenere la rielezione di Von der Leyen, mentre Matteo Salvini, leader della Lega, ripete che la destra non dovrebbe collaborare con i partiti centristi.

I sondaggi indicano che i due gruppi conquisteranno complessivamente circa un quarto dei seggi. A prescindere dall’assegnazione degli incarichi più importanti, l’estrema destra avrà più potere che in passato. Dimenticata la promessa di sciogliere l’Unione, questi gruppi si sfidano tra loro per tracciarne la rotta, nel tentativo di creare quella che Maréchal chiama una “Europa civilizzatrice” da sostituire a una tecnocratica “visione dell’Europa determinata dalla Commissione”. Meloni sembra convinta che queste due versioni dell’Europa possano coesistere. ◆ as

David Broder è uno storico britannico esperto di comunismo italiano e francese. Il suo ultimo libro uscito in Italia è I nipoti di Mussolini. Il fascismo nell’Italia contemporanea (Ponte alle Grazie 2023).

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Questo articolo è uscito sul numero 1560 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati