Uno dei modi più affidabili per misurare il progresso morale è l’aumento di un certo tipo di dogmatismo: in un paese normale non si discute se o quando lo stupro e la tortura siano tollerabili, l’opinione pubblica accetta “dogmaticamente” che siano fuori questione, e chi li sostiene è semplicemente liquidato come un pazzo. Un chiaro segno di decadenza morale è invece quando si comincia a discutere sulla violenza sessuale (esistono “stupri legittimi”? ) o quando la tortura è non solo tollerata in silenzio, ma mostrata pubblicamente: a poco a poco diventano possibili cose che prima erano inimmaginabili.

Ecco l’ultimo caso: il 13 novembre Evgenij Prigožin, stretto alleato del presidente russo Vladimir Putin e fondatore della milizia privata Wagner, ha risposto a un filmato non verificato, diffuso su Telegram, in cui un ex miliziano identificato come Nuzhin è ucciso dopo aver ammesso di aver cambiato schieramento a settembre per “combattere contro i russi”. Nuzhin afferma di essere stato rapito a Kiev l’11 ottobre e di essersi ritrovato in uno scantinato. Mentre pronuncia queste parole, un uomo in tenuta da combattimento dietro di lui gli fracassa il lato della testa e del collo con un martello.

Il filmato è stato pubblicato con il titolo “Il martello della vendetta”. Di fronte alla richiesta di un commento, Prigožin ha dichiarato attraverso la sua portavoce che il video avrebbe dovuto essere intitolato “Un cane ucciso come un cane”.

Non c’è da stupirsi che questo evento sia stato commentato dai mezzi d’informazione con frasi tipo “l’esercito privato di Putin diventa a tutti gli effetti come il gruppo Stato islamico”. Il riferimento è al modo in cui i jihadisti uccidono i prigionieri, costringendoli a confessare pubblicamente le loro presunte colpe e poi sgozzandoli con un coltello, mentre le registrazioni degli omicidi sono diffuse online. E non c’è da stupirsi che l’Iran sia ormai un intimo alleato della Russia: entrambi i paesi si stanno muovendo nella stessa direzione. Tra le persone arrestate per aver partecipato alle proteste iraniane ci sono centinaia di ragazze che rischiano la pena di morte. L’Iran è uno degli ultimi paesi al mondo a punire con la morte “delinquenti minorenni”: l’età in cui si può essere considerati responsabili di un reato è nove anni per le femmine, contro quindici anni per i maschi. Ma secondo la legge iraniana, non si può eseguire la condanna a morte nel caso in cui la minorenne sia vergine. Questo ostacolo è stato risolto in passato facendo sposare le ragazze con le guardie carcerarie e violentandole la notte prima della loro uccisione. Questo metodo è stato documentato nel corso dei decenni da giornalisti, familiari, attivisti e perfino da un ex leader politico.

Ora le cose si stanno facendo davvero contorte: Israele (che si presenta orgogliosamente come uno stato democratico) somiglia ogni giorno di più a un paese fondamentalista

Ora le cose si stanno facendo davvero contorte: Israele (che si presenta orgogliosamente come uno stato democratico) somiglia sempre più a un paese fondamentalista, non diverso dai suoi vicini arabi fondamentalisti. L’ultima prova è che Itamar Ben Gvir farà parte del nuovo governo di Benjamin Netanyahu. Prima di entrare in politica Ben Gvir era noto per avere nel suo salotto un ritratto del terrorista israeliano-statunitense Baruch Goldstein, che nel 1994 massacrò 29 musulmani palestinesi in preghiera e ne ferì altri 125 a Hebron, in quello che diventò noto come il massacro della grotta dei patriarchi. Entrò in politica unendosi al movimento giovanile del partito Kach, che è stato definito organizzazione terroristica e dichiarato fuorilegge dal governo israeliano. Quando compì diciott’anni, l’età per svolgere il servizio militare nelle forze armate israeliane, fu riformato a causa della sua passata militanza politica di estrema destra.

Alle elezioni legislative israeliane del 2022 il partito di Ben Gvir ha ottenuto un successo senza precedenti: ha più che raddoppiato i voti ottenuti nel 2021, diventando così il terzo partito più rappresentato nella knesset, il parlamento israeliano. Un altro segnale della stessa decadenza: durante un’intervista rilasciata il 12 novembre al programma radiofonico The Blaze, Netanyahu ha affermato che “l’antisemitismo ha assunto una nuova e funesta forma, perché non è di moda dire di essere antisemita. Si dice: ‘Be’, io sono antisionista’. Non si dice nemmeno ‘sono contro Israele’, ma ‘sono antisionista. Non sono contro gli ebrei, solo che non credo che dovrebbero avere uno stato tutto loro’. È come dire: ‘Non sono antistatunitense, solo che non credo che tu debba essere statunitense’”. Un paragone più appropriato forse sarebbe: “Non sono antipalestinese, solo non credo che i palestinesi dovrebbero avere un loro stato”. Questo ci porta alla domanda chiave: criticare l’occupazione israeliana della Cisgiordania significa negare il diritto all’esistenza di Israele? Qui le cose si fanno molto più oscure: Netanyahu ha recentemente invocato “una lotta contro il crescente antisemitismo musulmano e di sinistra in Europa, poche ore dopo che il suo governo aveva pubblicato un rapporto in cui si afferma che la più grande minaccia per gli ebrei nel continente è l’estrema destra”. Perché Netanyahu ignora l’antisemitismo di estrema destra? Perché ci fa affidamento: le nuove destre occidentali sono antisemite nei loro paesi, ma sostengono fermamente lo stato d’Israele come argine contro l’invasione musulmana. L’antisemitismo sionista è oggi un dato di fatto.

Si potrebbero fare molti esempi simili, come quello di Jarosław Kaczyński, il leader del partito che guida il governo polacco. Di recente Kaczyński ha affermato che il basso tasso di natalità della Polonia è causato principalmente dal fatto che le giovani donne bevono troppo alcol. Il problema quindi non sono le condizioni sociali, ma semplicemente il consumo di alcol delle donne. Quando la “dignitosa” democrazia liberale era ancora dominante, la sinistra radicale amava sottolineare che era solo una maschera per nascondere una realtà oscena e violenta. Verrebbe da dire: “Per favore, ridateci la maschera!”.

Stefano Ricci

Purtroppo tutto questo è solo un lato della storia. Oggi in occidente abbiamo due grandi blocchi ideologici contrapposti. I neoconservatori religiosi (da Putin e Trump fino all’Iran) sostengono un ritorno alle vecchie tradizioni cristiane (o musulmane) ortodosse contro la decadenza postmoderna “satanista” delle persone lgbt+; ma la loro politica è in realtà piena di barbare oscenità e violenza. Dall’altra parte la sinistra liberale politicamente corretta predica la tolleranza verso tutte le forme di identità sessuali ed etniche; nel suo sforzo di garantire questa tolleranza, però, ha bisogno di norme di cancellazione e regolamentazione, che introducono ansia e tensione costanti in questo felice universo permissivo. Le limitazioni, in un certo senso molto più forti del divieto paterno che sollecita il desiderio di trasgressione, tornano con prepotenza nella cultura politicamente corretta dei woke (termine inglese con cui ci si riferisce alle persone consapevoli delle disuguaglianze e delle discriminazioni economiche e sociali) o della cancel culture. La definizione di woke data dal sociologo e psicanalista Duane Rousselle come “razzismo al tempo dei molti senza l’Uno” può sembrare problematica, ma coglie nel segno: in un rovesciamento quasi totale del razzismo tradizionale, che si batte contro un intruso straniero considerato una minaccia per l’unità dell’Uno (per esempio, gli immigrati e gli ebrei per la nostra nazione), la cultura woke reagisce a chi è sospettato di non abbandonare veramente le vecchie forme dell’Uno (“patrioti”, sostenitori dei valori patriarcali, eurocentristi e così via). Nel “nuovo ordine mondiale” delle classificazioni woke, tutti gli orientamenti sessuali sono accettabili con un’unica eccezione: gli uomini bianchi cisessuali (cioè quelli la cui identità di genere corrisponde al sesso biologico definito alla nascita), spinti a sentirsi in colpa solo per quello che sono, per il fatto di essere “a proprio agio nella loro pelle”, mentre a tutti gli altri (anche alle donne cisessuali) è permesso di essere quello che sono (o sentono di essere).

Questa posizione è sempre più visibile in strani eventi che avvengono intorno a noi. Prendiamo il caso del Gettysburg college, negli Stati Uniti. In seguito a comprensibili e diffuse polemiche, il college ha rinviato un evento previsto per il 12 novembre 2022 che si rivolgeva alle persone “stanche degli uomini bianchi cis”. L’evento sarebbe stato ospitato dal Gender and sexuality resource center nell’ambito di un progetto sulla pace e la giustizia, in cui i partecipanti erano stati incoraggiati a “venire a dipingere e scrivere” per raccontare le loro frustrazioni nei confronti degli uomini bianchi “che si sentono bene nella loro pelle”. Come prevedibile, molti hanno accusato l’università di dare spazio al razzismo.

È in questi termini che dovremmo spiegare il paradosso di come, nella cultura woke e nella cancel culture, la fluidità non binaria coincida con il suo opposto. La prestigiosa Scuola normale superiore di Parigi sta discutendo una proposta per istituire nei dormitori alcune aree riservate agli individui che hanno scelto la mescolanza e la diversità (mixité choisie) come identità sessuale, escludendo gli uomini cisessuali. Le regole sarebbero rigide: per esempio, le persone che non rientrano nei criteri non potrebbero neanche frequentare brevemente quelle aree. Inoltre la proposta spiana la strada a ulteriori restrizioni: se un numero sufficiente di individui definisce la propria identità in termini ancora più ristretti, sarà possibile riservare un’area solo per loro.

Dobbiamo notare tre caratteristiche di questa proposta: (1) esclude solo gli uomini cisessuali, non le donne cisessuali; (2) non si basa su alcun criterio oggettivo di classificazione, ma solo su un’autodefinizione soggettiva; (3) richiede ulteriori suddivisioni classificatorie, dimostrando come tutta l’enfasi sulla fluidità, la scelta e la diversità sfoci in un qualcosa che non si può che chiamare un nuovo apartheid, una rete di identità fisse. Ecco perché la posizione woke dà l’esempio supremo di come la permissività si trasformi in proibizione universale: in un regime del politicamente corretto, non sappiamo mai se e quando qualcuno di noi sarà cancellato per le sue azioni o le sue parole, perché i criteri sono oscuri. Nonostante la sua dichiarata opposizione alle nuove forme di barbarie, la sinistra woke vi partecipa pienamente, promuovendo e praticando un discorso piatto e privo di ironia. Anche se sostiene il pluralismo e promuove le differenze, la sua posizione soggettiva di enunciazione – il luogo da cui parla – è estremamente autoritaria, non dà spazio ai dibattiti e impone esclusioni spesso basate su premesse arbitrarie.

Tuttavia, in tutta questa confusione, dobbiamo sempre tenere presente che il “wokismo” e la cancel culture sono di fatto limitati al ristretto mondo accademico (e, fino a un certo punto, ad alcune professioni intellettuali come il giornalismo), mentre la società in generale si muove nella direzione opposta. La cancel culture, con la sua implicita paranoia, è un tentativo disperato (e ovviamente inefficace) di compensare i problemi e le tragedie reali che affronta la comunità lgbt+, e la violenza e l’esclusione a cui è permanentemente sottoposta. La cancel culture e il wokismo sono una ritirata in una fortezza culturale, uno pseudo “porto sicuro”. Il loro fanatismo retorico non scalfisce, anzi addirittura rafforza le resistenze della maggioranza. ◆ ff

Slavoj Žižek è un filosofo e studioso di psicoanalisi sloveno. Il suo ultimo libro pubblicato in italiano è Il sesso e l’assoluto (Ponte alle Grazie 2022). Il titolo originale di questo articolo è Unmistakable signs of ethical decay.

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Questo articolo è uscito sul numero 1490 di Internazionale, a pagina 104. Compra questo numero | Abbonati