In Ungheria si sente spesso dire da figure vicine al governo che negli ultimi anni il partito Fidesz, del nazionalista e conservatore Viktor Orbán, ha portato a compimento il cambio di regime cominciato nel 1989. Cosa questo significhi si può vedere ogni giorno. A proposito delle presidenziali in Repubblica Ceca (dove al ballottaggio del 29 gennaio l’ex premier Andrej Babiš è stato sconfitto dall’europeista e atlantista Petr Pavel, nella foto) non possiamo parlare di un evento che segna la fine di un regime. La sconfitta di Babiš, che si somma a quella delle politiche nel 2021, non è un evento di tale portata: non si può paragonare alla primavera di Praga o alla rivoluzione di velluto. Tuttavia è un passaggio storico. I cechi hanno dimostrato di essere stufi del populismo e di politici come Babiš, che ha condotto una campagna elettorale basata sulle bugie, sostenendo che se il suo avversario avesse vinto avrebbe trascinato il paese in guerra. Oggi è evidente quanto sono diverse la società ceca e quella ungherese. Mentre a Praga le menzogne hanno indebolito chi le ha dette, in Ungheria, prima del voto dell’aprile 2021, in molti hanno creduto che, se l’opposizione avesse vinto, sarebbe arrivata la guerra.
Il presidente uscente Miloš Zeman è stato una vergogna per la politica ceca: ha oltraggiato la carica che ricopriva, forzandone costantemente i limiti e flirtando con l’estrema destra. Nelle ultime settimane anche Babiš ha provato ad aprire all’estrema destra. Una mossa comprensibile, se si tiene conto che non aveva alcuna possibilità di prendere i voti della borghesia moderata. Ma imperdonabile, considerato che in Europa il suo partito si presenta come progressista e al parlamento di Strasburgo fa parte del gruppo liberale.
Praga, quindi, non sta vivendo un cambio di regime, ma un processo di rinnovamento: alla presidenza arriva un politico europeista e atlantista, dopo che l’anno scorso è diventato premier Petr Fiala, su posizioni politiche simili. Questo non vuol dire che in Repubblica Ceca i populisti siano scomparsi. Perché alla fine in democrazia è sempre il popolo a decidere, che piaccia o meno a chi è al governo. ◆ ct
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Questo articolo è uscito sul numero 1497 di Internazionale, a pagina 25. Compra questo numero | Abbonati