Quello che finora la Kfor era riuscita a evitare alla fine è successo: i soldati della missione Nato sono dovuti intervenire nella crisi tra Serbia e Kosovo. Né gli Stati Uniti né l’Unione europea hanno interesse alla violenza. Ma gli occidentali hanno dimostrato di non essere in grado di gestire il premier kosovaro Albin Kurti.

Gli scontri del 29 maggio tra i manifestanti serbi e i soldati della Kfor sono stati un grosso errore, ma non il più grave. La comunità internazionale avrebbe dovuto vigilare affinché Kurti non prendesse le misure unilaterali che hanno portato a questa violenza. Dall’inizio delle proteste nel nord del Kosovo non è stato fatto nulla per disinnescare la tensione. Kurti avrebbe dovuto rinunciare a insediare i sindaci di etnia albanese eletti solo perché la comunità serba, maggioritaria nella regione, ha boicottato le amministrative di aprile. I serbi del nord sono stati lasciati soli e per giorni hanno protestato pacificamente. Poi è successo quello che tutti temevano.

Gli abitanti del nord del Kosovo sanno che non devono entrare in conflitto con la Kfor. Ma sono esposti alle influenze esterne. E in questo momento sono presi fra tre fuochi. Il primo è il governo kosovaro, che ha tutto l’interesse a un aumento della violenza per far sì che la colpa ricada di nuovo sulla Serbia. Poi ci sono gli interessi geopolitici legati alla guerra in Ucraina, che hanno ripercussioni su tutti i Balcani. Infine c’è il presidente serbo Aleksandr Vučić, che non ha mai dato l’impressione di voler calmare le acque.

I serbi del nord si sentono da tempo umiliati e discriminati, e oggi non c’è più nessuno che li guidi. Srpska lista, il partito che rappresenta i serbi del Kosovo, ha perso la fiducia della popolazione, e i manifestanti lo hanno dimostrato chiaramente. Rimproverano ai loro rappresentanti di averli abbandonati il 26 maggio, quando tutta la direzione del partito è andata a Belgrado per partecipare a un raduno convocato da Vučić.

Da quando Kurti è arrivato al potere, nella primavera del 2021, i serbi del Kosovo hanno l’impressione di vivere in una sorta di operazione speciale perpetua che punta ad assoggettarli. Nessuno crede che Kurti stia lottando contro la criminalità organizzata e per democratizzare il paese, come ama ripetere ai rappresentanti internazionali. Anche una parte importante della comunità internazionale non ha più fiducia in Kurti. Le sue decisioni unilaterali hanno fatto crollare la sua credibilità ed è ormai considerato un fattore di destabilizzazione.

Finora il governo di Pristina non ha mai dimostrato di preoccuparsi di tutti i suoi cittadini. I poliziotti mandati a contrastare le proteste hanno issato la bandiera del Kosovo sugli edifici pubblici al posto di quella serba, il segnale definitivo che questi territori sono sotto controllo. E la sensazione prevalente nella comunità serba è che l’azione sia stata coordinata con Belgrado.

L’obiettivo è evidente: la Serbia vuole dimostrare che è costretta ad attuare l’accordo concluso a marzo del 2022 a Ohrid, in Macedonia del Nord. Così l’estrema destra cerca di far salire le tensioni fino allo scontro, per poter dire che qualcosa è stato preso con la forza. Questo le permetterà di continuare a usare la sua retorica patriottica, lasciando che Kurti prenda ciò che vuole. Alla fine i serbi del Kosovo rischiano di perdere tutto. ◆ ab

Tatjana Lazarević è la direttrice di Kossev, un sito d’informazione in lingua serba che ha sede nel nord del Kosovo.

Da sapere
Segnali di distensione

◆ Il 5 giugno 2023 l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) ha presentato un piano per stemperare le tensioni nel nord del Kosovo, che prevede il ritiro delle forze speciali della polizia kosovara e la fine delle manifestazioni di protesta della comunità serba. I sindaci eletti ad aprile dovrebbero dimettersi entro l’estate, e nuove elezioni amministrative dovrebbero svolgersi entro la fine dell’anno. Il premier kosovaro Albin Kurti avrebbe già dato l’assenso alla ripetizione delle amministrative. Euronews


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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati