Il villaggio di Pecka condivide il destino di molti altri in Bosnia Erzegovina. Un tempo aveva 2.500 abitanti, oggi meno di un centinaio. La maggior parte si trasferì in Serbia negli anni sessanta e settanta, alla ricerca di condizioni di vita migliori.

“Sono nato e cresciuto a Pecka. E ora sono tornato”, dice Mile Terzija, 68 anni. “È il mio paese. Se non sei di qui, non ti piace. Soprattutto se vivi in città”. Ci troviamo a duecento chilometri a nordovest di Sarajevo.

Terzija ha problemi di salute, ma la cosa che gli pesa di più è la solitudine. “Siamo rimasti in pochi”, dice con voce calma. Con l’aiuto di due bastoni, sale il pendio del suo giardino e si siede lungo la strada. È faticoso, ma pur di vedere passare qualcuno affronta la salita. “Autobus, furgoni, gente a piedi, alpinisti, scout: in molti si fermano e mi chiedono dov’è la strada per il fiume Sana. E io felice gliela indico”, dice allegramente. “Il paese così è più animato”.

Prima non veniva quasi nessuno. Gli abitanti, anzi, se ne andavano via dalla disoccupazione e dalla guerra. A Pecka c’erano due scuole elementari. Oggi si contano solo quattro bambini. L’ultima scuola è stata chiusa a metà degli anni ottanta e l’edificio è andato in rovina.

Il paese si trova tra la sorgente del fiume Sana e una zona montuosa, che offrono un parco giochi naturale per gli scalatori. Vent’anni fa fu la natura ad attrarre Boro Maric, che spesso si accampava vicino al fiume. “Ci sono piaciute le rocce e il villaggio, abbastanza ben conservato e senza nuove costruzioni. Siamo andati alla sorgente del Sana e siamo tornati indietro. In seguito, i nostri amici scalatori hanno cominciato a tracciare nuove vie d’arrampicata”, racconta Maric, uno dei fondatori dell’associazione civica Greenways.

Maric nel 2007 aprì con altre persone la Greenways, per formare un gruppo di attivisti ambientali, esperti di sviluppo, ricercatori e imprenditori che promuovessero lo sviluppo sostenibile della zona. L’obiettivo era creare posti di lavoro e porre le basi per una gestione responsabile delle risorse naturali. Inoltre si sperava di promuovere lo sviluppo rurale sviluppando le risorse di Pecka. A partire dalla scuola abbandonata.

Metà del denaro usato per ristrutturare la scuola e il suo cortile, in modo da farne una struttura che ospitasse i visitatori, arrivò da grosse donazioni internazionali. Un terzo da donatori più piccoli e attraverso una campagna di crowdfunding. Anche il comune di Mrkonjić Grad, di cui Pecka fa parte, e alcune aziende private contribuirono. I lavori finirono nel 2015 e i primi turisti arrivarono nell’estate dello stesso anno.

Il piano originario era trasformare la scuola in un punto informativo e sistemare i visitatori nelle case del villaggio, ma l’organizzazione si è resa conto che i turisti cercavano altri servizi. “Passavano la giornata alle sorgenti, ma nel frattempo volevano anche mangiare e bere qualcosa. Così con l’associazione abbiamo trasformato la scuola in un ostello”, racconta Maric. “All’ultimo piano c’è un dormitorio e al piano intermedio una sala per lavorare, in cui si possono anche proiettare dei film. Ci sono voluti tre anni di ristrutturazioni per fare in modo che venti persone potessero dormire o avere uno spazio dove lavorare o riposarsi”.

Un festival all’aperto

In primavera e in autunno sono soprattutto gli scalatori a visitare Pecka, attirati dalle oltre 120 vie di arrampicata intorno al villaggio. Tra loro ci sono persone come Anja e Christoph Bannow, una coppia di Monaco di Baviera. Hanno visto un video su Pecka online. “I bosniaci sono tutti molto cordiali. Ci fanno cenni di saluto. Ci chiedono se vogliamo qualcosa da bere. Anche se non riusciamo a capirci del tutto”, racconta Anja.

Marko Nikoletic vive con la moglie non lontano dalle rocce. Ha 88 anni e fatica a muoversi.“È bello vivere qui, alcuni turisti vogliono comprare dei terreni, ma io i miei non li vendo”.

In autunno Pecka è anche una calamita per i cercatori di funghi, in particolare da quando nella ex scuola si tengono corsi sulla raccolta e la cottura delle varietà selvatiche. “Li organizziamo durante il fine settimana. Sono quasi tre giorni di lezioni, attività di gruppo ed escursioni sul campo”, spiega Maric.

Due anni fa all’ex scuola sono state aggiunte una decina di casette di legno per avere più alloggi, grazie a un investimento di Outdoor Resort Pecka, un’azienda che condivide la missione dell’associazione per uno sviluppo rurale sostenibile. Adesso vengono anche gruppi più numerosi, dalle scolaresche alle società sportive, fino alle aziende che vogliono rafforzare la coesione tra i dipendenti o fare corsi di formazione.

Uno degli obiettivi di Greenways è mettere in contatto i turisti con la popolazione locale. Nel 2018 ha lanciato il festival all’aperto di Pecka, una sorta di open day del villaggio che offre la possibilità di provare il torrentismo, l’arrampicata, il ciclismo, di fare escursioni e il bird­watching e propone molte attività per i bambini. Il bazar vende prodotti locali: latte, formaggio, torte, liquori e calze di lana.

Anche il cibo servito nella struttura dove alloggiano i turisti è di qui. In caso di gruppi numerosi, il personale gira per il villaggio e acquista latte, formaggio, patate e altro, sostenendo così la gente del posto. “Sulla collina di Ubovica, vicino al paese, ci sono solo sei case abitate”, racconta Pedja Gajanovic, che lavora al centro visitatori. “Li incoraggiamo a vendere le eccedenze alimentari. Sarebbe bello se avessimo dei volontari da mandargli, per aiutarli a produrre cibo. Noi compreremmo quello che gli avanza e le serviremmo qui. È un cerchio che si chiude”.

Secondo i dati del centro, ogni anno vengono a Pecka tra le diecimila e le quindicimila persone. Qualche anno fa erano poche centinaia. Questo ha permesso a molti di avviare o ampliare delle attività. La famiglia Grabez adesso gestisce una pensione e un ristorante che serve piatti tradizionali. “Abbiamo aperto la pensione dieci anni fa. Maric ci ha spinto più di chiunque altro a prendere sul serio questa attività”, racconta Rada Grabez. Il suo piccolo albergo è ben posizionato, a tre chi­lometri dalla sorgente del Sana e vicino alle aree d’arrampicata. “Il villaggio è molto più vivace di un tempo”, dice Grabez. “Molte persone hanno cominciato a sistemare le loro case e sono tornate al villaggio”.

Rispettare la comunità locale

L’aumento del numero di turisti porta con sé anche il pericolo di un eccessivo sviluppo. “Vogliamo che sia una destinazione ecosostenibile. Non cerchiamo il turismo di massa”, avverte Maric. Green­ways ha partecipato alla battaglia per dichiarare la sorgente del fiume Sana un monumento naturale e per bloccare l’ampliamento di una centrale idroelettrica.

La carenza di personale è il principale ostacolo alla crescita del progetto, dice Maric: “I volontari arrivano e ci danno una mano per qualche giorno. Ma ci mancano le persone che restano a vivere con noi almeno per qualche mese. Abbiamo bisogno di fondi e di una decina di volontari in più per realizzare tutto ciò che abbiamo immaginato”.

Appena il centro visitatori ha cominciato a pubblicare sui social network le foto del paese sono arrivati commenti positivi, racconta Maric. Secondo il personale del centro, negli ultimi anni sono state ristrutturate sessanta case. Alcuni proprietari che se n’erano andati via molti anni fa hanno passato di nuovo del tempo qui. “Ho lasciato Pecka quando avevo tredici anni”, racconta Dusan Pavalic, che oggi vive in Serbia. “Venivo qui con mio figlio ogni anno. Ci siamo presi una pausa di quindici anni e poi abbiamo ricominciato a venire. Ho ristrutturato la casa dove sono nato. Per amore del villaggio”.

Far rivivere un paese è un processo molto complesso. È ancora più difficile se non sei della zona, perché devi conquistarti la fiducia della popolazione locale. Per questo Greenways non è mai diventata proprietaria dell’edificio scolastico. Quando gli abitanti hanno bisogno di usare lo spazio, il più grande nel villaggio, hanno la priorità. Qui si tengono riunioni di famiglia e durante le elezioni c’è il seggio elettorale. “Sono fermamente convinto che debba rimanere una struttura pubblica”, sottolinea Maric. Il rispetto della comunità locale e delle sue esigenze, spiega, è fondamentale per il successo di un progetto come questo. ◆ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1499 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati