La retorica dell’eroismo è tipica delle guerre. “Abbiamo la libertà, dateci le ali che ci servono per proteggerla!”, ha detto l’8 febbraio il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj al parlamento britannico, chiedendo aiuto ai paesi europei. In primavera l’Ucraina dovrà ricominciare a combattere per cacciare i carri armati russi dal suo territorio. La causa di Zelenskyj è giusta e allo stesso tempo disperata. E ora il presidente chiede aerei da combattimento.

In momenti come questo la guerra sembra poter prevalere su tutto: ridicolizza il confronto, esalta il pericolo e prende in giro la prudenza. Nell’ultimo anno i paesi occidentali, sotto la guida della Nato, hanno cercato in ogni modo d’impedire che la battaglia in Ucraina degenerasse, destabilizzando gli equilibri di potere in Europa, e si allargasse in un conflitto catastrofico. Finora ci sono riusciti. Il tentativo di Mosca di occupare e conquistare l’Ucraina è stato contrastato. Il fronte è arretrato fino a stabilizzarsi nel Donbass, territorio occupato dalla Russia con il sostegno di separatisti locali già nel 2014. L’escalation è stata scongiurata soprattutto perché le armi occidentali non sono state usate sul suolo russo. La Nato ha dato all’Ucraina i mezzi per resistere a Mosca, e lo ha fatto non per difendere la sicurezza occidentale ma nel rispetto di una sovranità brutalmente violata. Un rispetto che in passato l’occidente non ha concesso ad altri paesi, come Afghanistan, Iraq e Libia.

Lulworth Camp, Regno Unito, 8 febbraio 2023 (Hollie Adams, Bloomberg/Getty)

In ogni guerra arriva il momento in cui gli interessi divergono. La Russia considera il sostegno occidentale all’Ucraina una manovra di aggressione della Nato, una tesi parzialmente confermata dalle sanzioni economiche imposte a Mosca e dall’ostilità verso tutto ciò che è russo. Allo stesso tempo Kiev vuole far passare l’idea che la Russia sia un pericolo per l’Europa e per il mondo, e considera poco credibile la minaccia nucleare di Mosca. Sostenuta dalle armi occidentali, l’Ucraina vuole che la Russia si ritiri. Ma gli esperti militari pensano che per ottenere questo risultato sarebbe necessario un enorme impegno a lungo termine da parte degli occidentali, probabilmente con la presenza di soldati sul campo. A quel punto la Nato non potrebbe più evitare un conflitto con la Russia, e finirebbe per dividersi.

L’unica via d’uscita ragionevole è il ripristino di una qualche versione dei confini del 2021, sanciti dall’accordo di Minsk del 2014 e accettati dai rappresentanti ucraini. Ora sappiamo che quell’accordo era carta straccia, visto che la Russia lo ha ignorato invadendo l’Ucraina. Ma ciò non toglie che in tutte le guerre prima o poi bisogna raggiungere un accordo sulla base di un equilibrio di potere esistente.

Queste valutazioni dovrebbero essere al centro del dibattito sulla richiesta di aerei da guerra da parte di Zelenskyj. Gli esperti militari hanno spiegato che gli aerei non potrebbero essere usati in primavera e forse nemmeno prima della fine dell’anno. Inoltre è impossibile addestrare in tempi brevi i piloti ucraini o costruire le strutture a terra per gestire gli aerei. In primavera sarebbero molto più utili i sistemi di difesa antiaerea e antimissile, e i carri armati occidentali.

Assecondando le richieste di Zelenskyj, gli occidentali potrebbero convincere Putin che la guerra non finirà presto e che sarebbe meglio negoziare. Ma potrebbero anche spingere il presidente russo a preparare le armi nucleari o a ordinare un attacco devastante contro Kiev. A quel punto potrebbero entrare in azione i piloti occidentali, bombardando basi militari in territorio russo. Ed emergerebbero divisioni tra i governi e all’interno delle opinioni pubbliche occidentali. La scommessa dei jet non vale la pena. Sarebbe meglio aiutare Zelenskyj a conquistare un vantaggio sul campo di battaglia in vista della primavera, ponendo le basi per un negoziato che possa portare alla pace. Finora l’occidente è riuscito a controllare un conflitto spaventoso. Non è il caso di perdere questo controllo in un momento così critico. ◆ as

Simon Jenkins è un giornalista britannico, si occupa di politica estera per il Guardian.

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Questo articolo è uscito sul numero 1499 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati