Ho sempre pensato che tutti i metalli fossero materiali rigidi, ma le opere di Yukie Ōsumi emanano un’aura di solennità, mantenendo al tempo stesso un senso di morbidezza. Una delle sue creazioni, intitolata Mare rosso, lo dimostra: realizzato in argento, rame e shakudō, una lega di oro e rame, questo vaso da fiori evoca l’immagine della luce riflessa sul mare al tramonto. “Ho passato l’infanzia nella campagna fuori della città di Shizuoka. Così ho sviluppato una particolare attenzione alla natura. Mi affascina l’idea di usare come decorazioni le onde, il vento e le nuvole, che sono elementi in continuo movimento”, spiega l’artista.
Gli oggetti di Ōsumi sono realizzati combinando due tecniche: il tankin, che prevede l’uso di un martello di legno o di ferro per modellare il metallo, e il chōkin, che consiste nell’intagliare decorazioni sulla superficie del metallo con uno scalpello. Il processo comincia riscaldando una lastra d’argento per renderla malleabile. Successivamente la lastra viene battuta con un martello su una base di legno. Quando il contenitore comincia a prendere forma, lo si percuote con un martello di legno per creare rigonfiamenti simili a nuvole. A questo punto si disegna il motivo sulla superficie esterna e, lasciando intatte le linee, si cesella con un martello di ferro per far emergere una cresta ondulata tridimensionale. Si procede poi a incidere sottili fessure verticali, orizzontali e diagonali usando un punteruolo. Poi si applica una lamina di piombo, battuta con un altro scalpello, fino a far emergere il disegno desiderato. Dopodiché si rimuove la lamina in eccesso, e si continua a battere finché non aderisce al corpo in argento, completando così la decorazione.
“Per portare a termine un’opera ci vogliono dai tre ai sei mesi. È un lavoro difficile, ma il metallo facilita le cose perché risponde immediatamente alla forza che subisce. Nella lavorazione della ceramica, per esempio, la cottura è una fase cruciale, e ci si deve affidare al fuoco, che può avere un impatto imprevedibile sul risultato finale. Al contrario la lavorazione dei metalli non dipende in nessun modo da altri elementi materiali, quindi le cose vanno quasi sempre come previsto. Anche da un punto di vista estetico, gli oggetti risultano privi d’imperfezioni”.
Ōsumi ha deciso di dedicarsi a questa disciplina a vent’anni. Si era iscritta all’Università delle arti di Tokyo. All’inizio voleva studiare storia dell’arte, ma presto si è resa conto di essere circondata quasi solo da pittori e scultori.
Da bambina le piaceva dare forma ai materiali e ha pensato che avrebbe voluto creare qualcosa anche lei. “Da piccola a scuola la mia materia preferita era educazione artistica, e anche a casa costruivo bambole di carta che poi regalavo ai miei compagni dell’asilo. Ripensandoci ora, la mia attrazione per le cose create a mano probabilmente veniva proprio da lì”.
Superfici raffinate
Ōsumi ha preferito l’artigianato all’arte, perché secondo lei è una combinazione di bellezza e utilità. Tuttavia, prima di scegliere la disciplina a cui dedicarsi, aveva bisogno d’imparare le tecniche e di documentarsi a fondo sui materiali. Così si è cimentata nella lavorazione della ceramica, nella laccatura e nella tintura. All’epoca non era possibile frequentare corsi di altre facoltà, quindi ha dovuto apprendere queste cose fuori delle aule universitarie.
“La lavorazione dei metalli richiede grande forza fisica, e all’epoca quello era un campo dominato dagli uomini, che scoraggiavano la partecipazione delle donne. Ma per me l’argilla era troppo morbida e difficile da controllare, e la lacca mi provocava gravi reazioni cutanee. Così i metalli sono rimasti la mia unica opzione. C’era anche una ragione più profonda che mi spingeva verso quel mondo: ero affascinata da quei materiali, dalla raffinatezza della loro superficie, dall’eleganza intrinseca dell’oro e dell’argento”, racconta l’artigiana.
Per quanto riguarda l’apprendimento delle tecniche, Ōsumi ha cominciato creando accessori in un laboratorio gestito da un senpai (mentore) dell’università, specializzato nell’intaglio del metallo. Una volta padroneggiate le tecniche d‘intaglio, Ōsumi ha deciso di cimentarsi nella creazione di oggetti interi, non limitandosi alla sola decorazione delle superfici.
A quel punto ha cominciato a studiare sotto la guida di Shirō Sekiya, che nel 1977 aveva ricevuto il titolo di Tesoro nazionale vivente (un riconoscimento concesso in Giappone dal ministero della cultura ad alcuni maestri di arti manuali e di altre discipline tradizionali) per la sua maestria nella tecnica tankin, cioè la lavorazione del metallo in forme complesse con l’uso di martelli e altri strumenti.
“In generale, si può dire che il mio modo di lavorare fonde le tecniche dei miei maestri, verso i quali nutro una profonda gratitudine”, commenta Ōsumi.
Fuori dalle aule
Anche se ormai era diventata brava, la domanda di prodotti in metallo era ancora limitata, e in una società dominata dagli uomini per lei era difficile sostenersi lavorando in quel campo. Tuttavia, in un’epoca in cui era comune che le donne si dedicassero solo alla famiglia, Ōsumi sentiva il bisogno di trovare la propria strada, anche se non aveva ancora chiaro qual era. Così, mentre affinava le sue tecniche, ha cominciato a fare esperienze in diversi ambiti.
Subito dopo la laurea ha trovato un lavoro part-time come insegnante di storia dell’arte. Dopo circa un anno è passata a fare l’esaminatrice presso l’ufficio brevetti. Insoddisfatta di quell’ambiente, ha lasciato il posto dopo un anno e per un periodo si è dedicata a varie occupazioni temporanee nel campo del design. In seguito è tornata all’Università delle arti di Tokyo, dove è stata assistente per otto anni, ottenendo infine una posizione da docente associata all’università Kasei di Tokyo. A 41 anni aveva finalmente trovato un lavoro stabile.
“Sono stata alla Kasei fino a cinque anni prima della pensione, quando ho cominciato a prendermi cura di mia madre, che aveva superato i novant’anni. Durante il mio periodo all’università ho creato un nuovo dipartimento, introducendo un corso sulla lavorazione del metallo. Nonostante gli impegni, non ho mai smesso di dedicarmi alle mie opere, continuando a esporle in gallerie d’arte. È stato un periodo intenso, ma sono riuscita a resistere perché ero ancora giovane”.
Ōsumi ha continuato a perfezionare le sue abilità. E nel 2015, all’età di 69 anni, è stata nominata anche lei Tesoro nazionale vivente, diventando la prima donna in Giappone a ricevere questo prestigioso riconoscimento. “Sono rimasta molto sorpresa quando me l’hanno dato. È semplicemente successo, e il fatto di essere una donna non mi rende particolarmente orgogliosa di per sé”.
Quando si entra in contatto con una sensibilità così delicata come quella di Ōsumi, si ha l’impressione che l’artigianato sia qualcosa di davvero speciale. Ma lei la pensa diversamente: “Così come gli uccelli costruiscono i loro nidi, gli esseri umani creano oggetti. Abbiamo una capacità innata di dare forma a cose belle in modo consapevole. Viviamo in un’epoca in cui tutto si può comprare, creando un’impressione di abbondanza. Ma il fatto che sia diventato normale acquistare il tè in bottiglie di plastica invece di prepararlo con una teiera rende in realtà la vita più povera, e sento un forte senso di vuoto interiore”.
Ōsumi aggiunge: “Il problema è che stiamo dimenticando che l’atto di creare è una parte essenziale della natura umana. Se il nostro lavoro di artigiani potesse permettere alle persone di riscoprire questo aspetto creativo legato agli oggetti, ne sarei molto felice. È questo il potere dell’artigianato tradizionale”. ◆ jb
◆ 1945 Nasce nella prefettura di Shizuoka, in Giappone.
◆ 1969 Si laurea in storia dell’arte a Tokyo.
◆ 1986 Diventa professoressa all’università Kasei della capitale.
◆ 2015 Per il suo lavoro sugli oggetti di metallo il ministero della cultura la nomina Tesoro nazionale vivente.
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Questo articolo è uscito sul numero 1584 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati