02 febbraio 2018 13:14

A ottobre un’azienda del Colorado che si occupa di biotecnologia, Bioptix, ha cambiato nome in Riot Blockchain. La sua valutazione è raddoppiata nel giro di pochi giorni. Sembra un’assurdità, ma la vera assurdità è che notizie come questa sono sempre più frequenti.

Anche l’azienda britannica Online plc ha cambiato nome in Online Blockchain, e le sue azioni sono cresciute del 400 per cento. A dicembre la Long Island iced tea corporation – che, come avrete immaginato, vende tè freddo – ha cambiato nome ed è diventata Long Blockchain. Il valore delle sue azioni è cresciuto di quasi il 300 per cento. Il 9 gennaio la Kodak ha annunciato il lancio di KodakCoin, “una criptovaluta per fotografi e agenzie che vogliono avere più controllo nella gestione dei diritti sulle immagini”. Le sue azioni sono cresciute dell’80 per cento in di poche ore.

Nel mondo delle criptovalute è ufficialmente cominciata la stagione della follia. Ogni multinazionale, piccola azienda o imprenditore alle prime armi cerca d’inserire la parola blockchain in ogni comunicato stampa o testo di presentazione per gli investitori.

Prima di andare avanti, è possibile che molti lettori – e forse anche molti dipendenti disorientati di queste aziende – si stiano chiedendo: ma, esattamente, che diavolo è una blockchain?

Un registro d’informazioni
Nella sua forma più semplice, la blockchain (catena di blocchi) è un registro d’informazioni immagazzinate in una rete di computer. Quando le persone usano una criptovaluta per comprare una pizza, delle sostanze illegali o uno yacht, queste transazioni digitali sono approvate da una rete di computer in tutto il mondo su cui è attivo un software di bitcoin. Ogni lotto di queste transazioni, detto blocco (block), ottiene un codice crittografico, di cui una copia viene registrata su ogni computer della rete. Questi blocchi sono collegati l’uno all’altro in una catena (chain) di transazioni approvate pubblicamente, che non possono essere modificate. Ecco spiegato il senso della parola blockchain.

Forse tra dieci anni la blockchain troverà il suo vero scopo

Negli ultimi sei mesi, il protagonista del mondo di blockchain è stato bitcoin, il cui vertiginoso aumento di valore ha attirato l’attenzione di tutto il mondo. Alcuni analisti hanno paragonato il boom dei bitcoin e la febbre da criptovaluta alla bolla delle dot-com. In questa analogia, il bitcoin è simile a una singola e fragile dot-com, mentre la blockchain è simile a internet, una tecnologia potenzialmente rivoluzionaria che può sopravvivere alla scomparsa di una qualsiasi delle criptovalute.

Ma anche se ha vari estimatori, in questa analogia c’è un punto debole, che non preannuncia niente di buono per le criptovalute. Quando la bolla delle dot-com è esplosa, all’inizio del 2000, internet era già un fenomeno di massa. Circa la metà delle famiglie statunitensi navigava in rete, e il loro numero ha continuato a crescere anche con l’implosione del Nasdaq (la principale borsa statunitense di titoli tecnologici). Internet era una tecnologia dalle caratteristiche relativamente semplici. All’epoca Google catalogava già le pagine web in risultati di ricerca, Amazon era già un negozio digitale che spediva pacchi a casa delle persone, e Aol aveva già capito come coniugare informazioni e comunicazioni personali, dieci anni prima che Facebook migliorasse la ricetta. Nel 2000 internet aveva già catturato la nostra attenzione e decine di milioni di statunitensi lo stavano già usando. La blockchain finora ha solo catturato la nostra curiosità.

Bitcoin potrebbe essere quel che era Pets.com nel 2000: una curiosità tecnologica alla ricerca di un modello d’affari. Ma la blockchain oggi non è nella stessa posizione di internet nel 2000. Neanche i suoi più strenui sostenitori possono prevedere quali saranno le sue funzionalità più importanti, perché ancora non esistono. E forse non esisteranno mai.

Bitcoin è il prodotto più famoso di blockchain, ma non ha il potenziale per crescere oltre una certa dimensione. La rete delle carte di credito Visa può gestire sessantamila transazioni al secondo. Bitcoin appena dieci. Un altro modo di usare la blockchain, sono i “contratti intelligenti” (smart contracts) che possono eseguire automaticamente degli accordi, per esempio investimenti azionari, senza il rischio d’incorrere nei problemi causati dalla possibilità d’errore degli esseri umani, come le inefficienze di broker, avvocati o contratti cartacei.

Ma uno di questi strumenti d’investimento intelligenti, chiamato Organizzazione autonoma distribuita (Distributed autonomous organization), è stato messo in crisi da un bug che, per errore, ha effettuato un investimento che ha portato alla perdita di decine di milioni di dollari. Le persone hanno dovuto riunirsi e votare la modifica del contratto per poter recuperare i soldi. Si è scoperto che gli esseri umani possono essere lenti e inclini agli errori, ma comunque utili.

Molte persone mi hanno scritto email o contattato negli ultimi mesi a proposito dell’uso della blockchain per il giornalismo locale. Ho cercato di capire quali vantaggi potrebbe portare quest’idea. Ma l’espressione “giornalismo blockchain” continua a suggerirmi l’immagine di una coppia in cui, teoricamente, ti piacciono entrambe le persone ma non riesci a capire cosa ci facciano insieme. È anche possibile che un registro anonimo e distribuito sia semplicemente una soluzione matematica elegante alla ricerca permanente di un problema umano.

A onore della blockchain e dei suoi sostenitori, va detto che l’utilità di alcune invenzioni non è sempre chiara da subito. Sono passati quarant’anni tra la creazione del primo prototipo di internet presso l’Agenzia di ricerca per i progetti avanzati degli Stati Uniti e il primo browser per la rete. E passarono sette anni tra l’invenzione del transistor e la sua prima importante applicazione commerciale, nella radio a transistor. Forse tra dieci anni la blockchain troverà il suo vero scopo.

L’appetito degli investitori per qualsiasi cosa abbia a che vedere con bitcoin genererà un tripudio di tentativi e di errori

Tra le startup che si occupano di criptovalute, quella che mi sembra più sensata è Filecoin. Come una sorta di Airbnb per lo stoccaggio di dati, l’azienda propone di usare lo spazio di archiviazione inattivo sui computer di tutto il mondo per sostituire o integrare i server dati, più vulnerabili agli hacker e ad altre azioni di disturbo.

L’azienda ha creato la propria criptovaluta, chiamata filecoin, per pagare gli utenti che aderiscono alla sua comunità (gli utenti possono teoricamente conservare questa criptovaluta, come un investimento, scambiarla con altri membri di questa rete, oppure venderla in cambio di dollari). Decentralizzando lo stoccaggio dati in questo modo, l’azienda sostiene di poter migliorare la resilienza di internet, rendendo più difficile la chiusura di alcuni siti e app da parte dello stato. A settembre l’azienda ha raccolto più di duecento milioni di dollari durante la più grande offerta iniziale di moneta (Ico) della storia.

Filecoin rivoluzionerà quindi lo stoccaggio dati? Nessuno può dirlo. L’appetito degli investitori per qualsiasi cosa abbia a che vedere con bitcoin produrrà un tripudio di tentativi e di errori. È inevitabile che molte di queste idee si riveleranno sbagliate. Ma è un fatto connaturato a questa fase di sperimentazione. Saranno sempre di più le startup che useranno la blockchain per pagamenti, servizi bancari, contratti di depositi di garanzia, documenti legali, proprietà intellettuale, strategie d’investimento, sistemi di voti e altro ancora. Forse in futuro il settore delle criptovalute diventerà più intelligente, ma per ora è probabile che assisteremo a un’esplosione di stupidità.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è stato pubblicato da The Atlantic.

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