03 marzo 2022 16:10

Cominciamo a perdere il conto: il traffico aereo, le grandi banche, le riserve in valuta estera, i soldi degli oligarchi e l’informazione di stato. La lista delle sanzioni contro la Russia si fa sempre più lunga. Dal punto di vista geopolitico il presidente russo Vladimir Putin è riuscito in un’impresa in cui molti hanno fallito: provocare la reazione unita e decisa dell’occidente e insegnare all’Unione europea a parlare con la lingua del potere. Ora però la domanda è: tutto ciò servirà a qualcosa?

Le sanzioni hanno l’obiettivo di provocare il massimo danno in Russia e il minimo danno nel resto del mondo. Per questo sono ancora possibili i pagamenti relativi alle forniture di petrolio e gas russi. Infatti non è solo il governo tedesco a pensare che se il Cremlino dovesse interrompere le forniture energetiche, ci sarebbero danni ingenti per la Germania e altri paesi europei, danni che vanno impediti. Già solo per questo è chiaro che le sanzioni non saranno prive di conseguenze per le aziende occidentali.

Ma il punto non è solo l’energia. Per gli Stati Uniti è da sempre importante non mettere a rischio l’egemonia sui mercati finanziari, assicurata anche dal ruolo del dollaro come valuta di riserva mondiale. Le banche che operano a livello internazionale non vogliono o non possono rinunciare al mercato finanziario statunitense e alle sue infrastrutture di pagamento. Ma per il mantenimento di questo status bisogna evitare il minimo sospetto che gli Stati Uniti e i loro alleati abusino del dominio finanziario per perseguire finalità politiche. In questo caso, infatti, altre valute potrebbero prendere il posto del dollaro o potrebbero sorgere sistemi di pagamento alternativi. È questo il motivo per cui anche gli Stati Uniti hanno esitato a prendere misure più severe.

La svalutazione del rublo
Il rublo sta subendo una drastica svalutazione perché, senza l’accesso alle sue riserve di valuta estera, la banca centrale russa ha molte difficoltà a sostenerlo: può stampare rubli, ma non certo euro o dollari. Inoltre, mentre in Russia il rublo ha corso legale, all’estero nessuno è obbligato ad accettarlo. Così le merci d’importazione che, nonostante i pagamenti in gran parte bloccati, dovessero ancora riuscire a entrare nel paese, diventeranno più care. Già in questi giorni, inoltre, si sono formate lunghe code davanti ai bancomat russi, mentre la Banca centrale europea chiudeva le filiali europee della Sberbank, la più grande banca russa, perché i clienti avevano portato via i loro depositi.

Le sanzioni faranno crescere il prezzo pagato dai russi per il proseguimento delle loro azioni militari, ma probabilmente non costringeranno Putin alla ritirata. È evidente che il benessere economico del suo paese non interessa al capo del Cremlino, che altrimenti non avrebbe ordinato l’invasione dell’Ucraina, per la quale non c’erano motivazioni economiche serie. A volte, tra l’altro, se la popolazione del paese colpito interpreta le sanzioni come un atto ostile, si ottiene solo l’effetto di inasprire le divisioni.

Non è detto che nel caso della Russia andrà così: nel paese, nonostante il controllo di Putin sui mezzi d’informazione, non sembra esserci grande entusiasmo per l’invasione. Quindi è piuttosto improbabile che la rabbia dei russi si rivolga all’improvviso contro la Germania o gli Stati Uniti. Per Putin la situazione non è favorevole, soprattutto considerando l’aumento delle forniture militari all’Ucraina. Per il suo regno potrebbe essere l’inizio della fine. Speriamo solo che, prima di lasciare la scena politica globale, non commetta uno sproposito.

(Traduzione di Susanna Karasz)

Da sapere
Swift e riserve valutarie

Il 27 febbraio gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali hanno deciso di rimuovere alcune banche russe dal Swift, il sistema di messaggistica usato per comunicare i dettagli dei pagamenti transfrontalieri tra le banche. In un comunicato congiunto, inoltre, gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, la Francia, la Germania, l’Italia e la Commissione europea hanno annunciato il congelamento delle riserve valutarie estere della banca centrale russa, che ammontano a circa 630 miliardi di dollari. I paesi occidentali, tuttavia, potranno continuare ad assicurarsi le forniture di energia russe, ma impedendo a Mosca di usare spendere i soldi incassati fondi. Queste misure sono state recepite anche dalla Svizzera e da Singapore, due centri importanti della finanza globale. In Svizzera tra il 2016 e il 2020 sono confluiti capitali russi per un valore di circa 7,6 miliardi di dollari.

L’obiettivo è isolare la Russia dal sistema finanziario internazionale e indebolirne l’economia. Il 28 febbraio, per evitare la fuga di capitali, la banca centrale russa ha aumentato il costo del denaro dal 9,5 al 20 per cento e ha introdotto controlli sui flussi di capitale. Il ministero dell’economia ha imposto alle aziende russe di convertire in rubli l’80 per cento delle loro entrate in valuta estera. Nello stesso giorno il rublo si è svalutato del 20 per cento rispetto al dollaro. Sono crollate anche le azioni di aziende russe quotate a Londra: quelle della Sberbank, la più grande banca russa e uno degli istituti colpiti dalle sanzioni, hanno perso il 74 per cento, mentre la sua filiale austriaca è stata costretta a chiudere. I colossi energetici Gazprom e Rosneft hanno perso rispettivamente il 53 e il 42 per cento. Il 2 marzo la borsa di Mosca non aveva ancora riaperto le contrattazioni.


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