03 gennaio 2017 12:42

I Centri di identificazione ed espulsione (Cie) sono i luoghi in cui vengono trattenuti i cittadini stranieri irregolari in attesa di essere identificati ed espulsi. Sono stati creati in Italia con l’approvazione della prima legge organica sull’immigrazione, la legge Turco-Napolitano del 1998.

All’inizio i Cie si chiamavano Centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpta) e consentivano la detenzione amministrativa per un periodo massimo di 30 giorni di chi non aveva i documenti in regola. In seguito il periodo di detenzione è stato esteso a 18 mesi, quindi ridotto di nuovo a 90 giorni. Oggi è di 12 mesi.

I Cie attivi in Italia sono quattro, per una capienza totale di 359 posti: si trovano a Brindisi, Caltanissetta, Roma, Torino. Il Cie di Trapani, attivo fino al 31 dicembre 2015, dal 2016 è stato convertito in hotspot. Al 30 dicembre 2016 risultavano trattenute nei Cie italiani 288 persone.

Originariamente i Cie erano quindici, ma sono stati gradualmente dismessi a causa di problemi legali, umanitari e di ordine pubblico. Strutture simili sono presenti in tutta Europa, create in concomitanza con la nascita dello spazio di libera circolazione delle persone cioè lo spazio Schengen. Mentre si aprivano le frontiere interne dell’Unione con la creazione dello spazio Schengen, s’investiva sulla difesa di quelle esterne e sulla distinzione tra i cittadini europei e quelli extraeuropei. I Cie europei sono circa duecento.

Aprire nuovi Cie
Negli ultimi giorni si è tornato a parlare di questi centri dopo che il capo della polizia Franco Gabrielli ha annunciato in una circolare piani straordinari di controllo del territorio nei confronti dei migranti irregolari. Per il Corriere della Sera, la circolare fa parte di “una strategia più ampia” del nuovo ministro dell’interno, Marco Minniti, per aprire un Cie in ogni regione d’Italia. Secondo una fonte della polizia citata da Repubblica, l’obiettivo del ministero dell’interno è raddoppiare i rimpatri dei migranti irregolari nel 2017.

Nel 2016 sono stati rimpatriati 5.066 migranti a fronte di 38.284 migranti irregolari e la volontà del governo guidato da Paolo Gentiloni sarebbe d’incrementare i rimpatri di cittadini stranieri nei prossimi mesi. Questo nel quadro di politiche europee sempre più orientate al rimpatrio delle persone che non riescono a ottenere una forma di protezione in Europa, un gruppo sempre più esteso in cui rientrano i migranti per ragioni economiche.

L’annuncio di retate e controlli contro i migranti irregolari e la probabile estensione della rete dei Cie è la prima presa di posizione importante in materia d’immigrazione del nuovo ministro dell’interno e rilancia il vecchio approccio securitario al fenomeno migratorio sperimentato alla fine degli anni novanta, un approccio che ha mostrato tutti i suoi limiti e le sue inefficienze nella lunga stagione culminata con l’introduzione del reato di clandestinità nell’ordinamento penale italiano nel 2009.

La demagogia alla base di questo tipo di messaggio si fonda sulla criminalizzazione del migrante

Nei 18 anni dalla creazione dei Cie, le critiche da parte dei difensori dei diritti umani e di organizzazioni indipendenti hanno mostrato che la detenzione amministrativa dei cittadini stranieri irregolari è inefficace da tutti i punti di vista, tranne uno: quello della comunicazione politica.

Come ha spiegato Reece Jones nel suo libro Violent borders, la demagogia che è alla base di queste scelte si fonda sull’equazione secondo cui tutti i migranti sono “criminali, trafficanti di droga e stupratori”. Un’equazione, smentita dalle statistiche, e che tuttavia è stata usata molte volte, come nella campagna per le presidenziali statunitensi e in quella per il referendum sulla Brexit nel Regno Unito.

E c’è da aspettarsi che i migranti saranno al centro anche della campagna elettorale italiana, che nella peggiore delle ipotesi durerà un anno. I migranti saranno usati come terreno di scontro e come capro espiatorio dagli schieramenti politici in cerca di consensi tra un elettorato sempre più disilluso.

L’annuncio dell’apertura di nuovi Cie sembra quindi una mossa di comunicazione del partito di governo che si prepara a una lunghissima campagna elettorale dominata nei temi e nei modi dai partiti populisti e dalla destra.

I Cie sono disumani e inutili
Nella notte tra il 28 e il 29 dicembre del 1999, diciassette anni fa, in uno dei primi Cie italiani, il Cpta di Serraino Vulpitta a Trapani, sei ragazzi tunisini rimasero uccisi in un incendio. Alcune persone detenute nel centro avevano tentato di fuggire e le forze dell’ordine avevano rinchiuso dodici ragazzi in una piccola cella. Uno di loro aveva dato fuoco a un materasso causando un incendio. Tre di quei ragazzi morirono nella notte, altri tre pochi giorni dopo in ospedale a causa delle ustioni riportate. Si chiamavano Rabah, Nashreddine, Jamel, Ramsi, Lofti e Nasim.

Da allora sono state registrate numerose violenze, rivolte, atti di autolesionismo, suicidi e morti all’interno dei Cie italiani. L’inchiesta Morti di Cie ha denunciato più di venti casi di persone che hanno perso la vita nei centri. Già nel 2007, dieci anni fa, una commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’inviato dell’Onu Staffan de Mistura stilò un rapporto in cui si sosteneva la necessità di “superare i centri” e un sistema inefficace che faceva registrare violazioni e soprusi. Il sistema dei Cie, si legge nel rapporto, “non consente una gestione efficace dell’immigrazione irregolare” e “comporta costi elevatissimi con risultati non commisurati”.

Bisogna ricordare infatti che i Cie non funzionavano neanche quando erano a pieno regime, o almeno non funzionavano per lo scopo per il quale erano stati creati: il rimpatrio dei migranti irregolari.

Rimpatriare i migranti irregolari è un’operazione costosa ed è possibile solo in presenza di accordi bilaterali con i paesi di origine dei migranti. Ma questi accordi nella maggior parte dei casi non esistono, anche se l’Unione europea sta facendo pressione perché ne siano stipulati di nuovi.

Negli ultimi quindici anni, i paesi europei hanno speso circa 11,3 miliardi di euro per espellere i migranti irregolari

Il Rapporto sui Centri di identificazione ed espulsione della Commissione diritti umani del senato nel febbraio 2016 affermava che il 50 per cento delle persone raggiunte da un decreto di espulsione e transitate dai Cie in effetti non viene rimpatriato perché i costi sono altissimi e perché i paesi che hanno formalizzato delle intese di riammissione con l’Italia sono pochi: l’Egitto nel 2007, la Tunisia nel 2011 e più di recente la Nigeria e il Marocco. Esistono degli accordi di collaborazione infine con la polizia del Gambia e del Sudan.

Negli ultimi quindici anni, i paesi europei hanno speso circa 11,3 miliardi di euro per espellere i migranti irregolari e 1,6 miliardi per rafforzare i controlli alle frontiere. L’hanno calcolato i giornalisti dei Migrants files, un collettivo internazionale di venti cronisti, statistici ed esperti. Questi dati in realtà sono sottostimati, avvertono gli stessi giornalisti. I paesi europei non hanno una normativa comune per i rimpatri e non c’è trasparenza sui costi sostenuti da ogni stato. Una cosa è certa: accogliere i migranti invece di respingerli costerebbe meno.

La Campagna LasciateCIEntrare, che chiede di far entrare giornalisti e attivisti nei centri, denuncia da anni le condizioni disumane di detenzione e le violazioni dei diritti umani all’interno dei Cie italiani. “Sono strutture inutili, inefficienti e costose con condizioni di trattenimento lesive della dignità umana e soprattutto inutili al contrasto dell’immigrazione irregolare”, ha detto la portavoce Gabriella Guido. “Accoglienza è la parola d’ordine. LasciateCIEntrare proseguirà nella lotta per la loro completa e definitiva chiusura”.

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