16 giugno 2023 14:49

Una storia italiana. Così s’intitolava un libretto inviato da Silvio Berlusconi in milioni di case alla vigilia delle elezioni del 2001. Non aveva torto. La sua è stata indubbiamente una storia molto italiana. Ma non soltanto. La formidabile parabola esistenziale, imprenditoriale e politica di Silvio Berlusconi, se osservata a mente lucida e a ciglio asciutto, prefigura il destino storico delle democrazie occidentali in questo nuovo secolo e millennio.

Non c’è dubbio che Berlusconi sia stato l’italiano più influente del secondo novecento (Mussolini lo era stato del primo). Cioè l’uomo che più di ogni altro ha influito su costumi, valori, rappresentazioni collettive di un popolo. Lasciamo, perciò, ad altri la ricostruzione dei fatti e interroghiamoci sulle narrazioni. Cominciamo dagli anni ottanta, un decennio durato trent’anni, i trent’anni che segnano l’era di Silvio Berlusconi.

Gli anni ottanta di Berlusconi cominciano nell’oscurità dei settanta, in quell’inquietante, sinistro margine d’ombra che ancora oggi persiste sull’origine della sua fortuna economica di imprenditore edile. Poi, però, il nuovo decennio porta la luce. È una luce azzurrognola, artificiale, domestica. Nelle case degli italiani brilla una luminescenza recante la promessa di una nuova vita, vita leggera, abbiente, spensierata, vita gaudente. È la luce di un tubo catodico e viene a dire che la quaresima è finita. L’avvento delle televisioni commerciali a diffusione nazionale inaugurate proprio nel 1980 – non a caso un torneo calcistico – decreta anche simbolicamente la fine dei plumbei anni settanta.

Basta politica, basta ideologie, basta progetti rivoluzionari finiti nel sangue di troppi morti ammazzati. Ora è il tempo del disimpegno, del riflusso, di un eterno presente, di un avvenire che non promette niente e che, per questo, manterrà la promessa. Alla quaresima commercial-televisiva propalata nel mondo redento dalle reti Fininvest non segue, infatti, la pasqua ma un nuovo carnevale. Un periodo di scatenamento pulsionale assoluto, di sfrenatezza edonistico-consumistica alimentata dalla fantasmagoria delle merci. Il comunismo aveva promesso il necessario per tutti, la soddisfazione dei bisogni, il berlusconismo assicura il lusso per tutti, la moltiplicazione esponenziale dei desideri soddisfatti.

In breve sarai ricco
Dove prenderemo il denaro per farlo? Nessun problema: si genererà da sé. È il delirio del multilevel marketing. L’idea è semplice: se tu diventi al tempo stesso acquirente e venditore di un prodotto, e poi convinci dieci amici a farlo, e questi ne convincono altri dieci, e così via, in breve sarai ricco. Lo saremo tutti. La moltiplicazione è algebrica, i consumi sono espandibili all’infinito, la vita è una cosa meravigliosa. Si tratta solo di crederci, di aver fiducia, di essere ottimisti. Ottimismo uguale consumismo. Questa la formula del successo, questa la pietra filosofale della crescita infinita, questo il mantra della democrazia di massa.

Sì, perché questa volta la cuccagna dovrà essere davvero per tutti. Il berlusconismo nasce in polemica contro ogni elitismo, della vecchia classe politica, dei vecchi potentati economici, della vecchia élite intellettuale. Silvio Berlusconi si annuncia come uomo del popolo per il popolo, a patto che il popolo rinunci a se stesso. La sua rivoluzione soft eleva la pubblicità commerciale a linguaggio universale, sostituisce il cittadino con il cliente, le sue televisioni inventano un nuovo tipo di comunicazione che, deposto ogni intento pedagogico, trionfa grazie alla convivialità, alla prossimità, alla orizzontalità, al flusso in cui si è costantemente immersi senza bagnarsi mai.

I conduttori dei talk berlusconiani non smettono di ripeterci che sono “uno di noi”, stanno sul nostro stesso piano, parlano come mangiano e mangiano i prodotti che pubblicizzano. Non hanno nulla da insegnarci, ci ripetono senza sosta che non dobbiamo studiare, crescere, evolvere, andiamo bene così come siamo, possiamo finalmente diventare noi stessi. Loro sono lì solo per darci un po’ di svago, divertimento, per intrattenerci. La tv ora è sempre accesa, trasmette 24 ore su 24 ed è gratis, non ha colore, non ha odore, come il denaro. Intrattenerci in attesa di cosa? Di niente, di niente. Per carità non complichiamoci la vita. Sono gli anni ottanta, è sabato sera e stiamo andando a una festa. È sempre sabato sera e stiamo sempre andando a una festa.

Risvegliatici dal sogno, ci siamo scoperti cinici e al tempo stesso fessi, sprovveduti e al tempo stesso scettici

La discesa nel campo politico degli anni ’90 estende questa narrazione a ogni ambito della vita individuale e sociale, rende totalizzante questo sogno miracolistico. Lo slogan elettorale lo dichiara esplicitamente annunciando “Un nuovo miracolo italiano”. Sì, perché una cosa è certa: la visione berlusconiana per poter funzionare, per riuscire a sedurre, deve essere sfrenata, globale, cannibale. La riduzione del mondo a immagine del mondo, della vita al consumo di sé e della realtà a merce non ammette limiti. Tutto deve poter essere comprato: i calciatori, i voti, i parlamentari, i magistrati, i finanzieri, gli avversari, le donne, soprattutto le donne.

Trent’anni di conflitto aperto tra Berlusconi e la magistratura stanno a dimostrarlo. L’immoralismo sfacciato è poi l’altra faccia dell’illegalismo sistematico. Nessuna istanza morale deve intervenire a intralciare questo tetro edonismo, questo disperato ottimismo. E tantomeno la realtà deve poter competere con il sogno. Soltanto la morte, forse, un giorno. Ma per quella c’è tempo.

Si è pagato un prezzo molto alto per questo sogno. Nei trent’anni di dominio della fantasmagoria berlusconiana il debito pubblico è esploso, il pianeta si è terribilmente surriscaldato, l’Europa è tornata a essere un campo di battaglia. Lungo la strada, abbiamo perso la possibilità di educare i nostri figli (sostituiti prima dalla tv e poi da internet), di istruire i nostri allievi (la conoscenza, dopo tutto, a che serve?), di lottare collettivamente per un domani migliore (la narrazione berlusconiana ammette solo arricchimenti individuali). Abbiamo perso il rispetto della classe politica (semplici gregari dell’Unto del Signore), delle istituzioni democratiche (intralci sul suo cammino trionfale), delle donne (degradate a merce) e, dunque, di noi stessi. Risvegliatici dal sogno, ci siamo scoperti cinici e al tempo stesso fessi, sprovveduti e al tempo stesso scettici: non si crede davvero più a niente ma ci si beve tutto.

Forse, però, non c’è stato alcun risveglio. Trent’anni di irrealtà berlusconiana hanno rappresentato un lungo apprendistato allo stato di minorità di un popolo ridotto a massa. Adesso quelle masse sono pronte a cedere ulteriori quote delle proprie prerogative democratiche alle promesse consolatorie di nuovi uomini e donne “forti”, eredi dello scettro populista che fu di Silvio Berlusconi.

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Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano francese Le Monde.

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