15 marzo 2012 00:00
  • I cartoni giapponesi sono la rovina dei nostri figli?–Iva*

L’orfanella Candy Candy è adottata dalla ricca famiglia Legan. Ma è subito chiaro che è stata presa solo per rinfoltire la servitù. Lo zio William non si disturba neanche a incontrarla. Oltre alle faccende domestiche, Candy deve sottostare ai soprusi dei cugini Iriza e Neal. La zia Legan, che a giudicare dalla carnagione ha origini native americane, le rivolge parola solo per sgridarla. L’unico che le mostra affetto è Anthony, un biondino che poi cade da cavallo e muore. Per punizione Candy viene spedita nel collegio della terrificante suor Grey, anche lei di origini sioux. Lì Candy ritrova la sua amica del cuore dell’orfanotrofio, Annie, che ora si vergogna di essere sua amica.

Nel frattempo s’innamora di Terence, un attore che ricambia i suoi sentimenti. Ma prima che possano dirselo Susanna, l’ex di Terence, è centrata in pieno da un riflettore e perde una gamba. E con questa scusa si riprende il suo uomo. Candy s’iscrive a Medicina. La sua compagna di stanza è Flanny, una lesbica talmente repressa che pur di non fare coming out si arruola come infermiera di guerra. Ma c’è il lieto fine: lo zio William era in realtà Albert, un vecchio amico di Candy che tenta da anni di portarsela a letto. La mia generazione è cresciuta con questa roba. E, al di là di una leggera diffidenza nei confronti degli indiani d’America, ne siamo usciti bene.

Internazionale, numero 940, 16 marzo 2012

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