Meraviglia dei fili invisibili dello spirito, della tensione interiore tra esseri umani che trova una sua comunicazione in forme misteriose. Questo potrebbe essere il senso, profondo quanto pervasivo, di Correspondências, l’intenso film portoghese di Rita Azevedo Gomes, presentato in concorso al festival di Locarno. Basta avere un po’ di pazienza e vengono fuori i percorsi, le cartografie ormai dimenticate.

Quest’anno Locarno ha dato molto spazio al cinema di lingua portoghese, con due film in concorso: oltre a quello della Azevedo c’è anche João Pedro Rodrigues, tra i più significativi registi contemporanei, che ha presentato O Ornitólogo (di cui parleremo presto), mentre nella sezione Piazza Grande figura una coproduzione portoghese-mozambicana-francese-sudafricana-brasiliana (Comboio de sal e açucar del cineasta-scrittore del Mozambico Licínio Azevedo) e in Cineasti del presente un film argentino (El auge del humano dell’esordiente Eduardo Williams), coproduzione triangolare (Argentina, Brasile e Portogallo) e dall’ambientazione un po’ indefinita. Tutti elementi che involontariamente evidenziano sottili corrispondenze tra paese ex coloniale e paese ex colonizzato, nel caso specifico il Portogallo e il Brasile.

Il cinema portoghese sembra l’unico cinema europeo a interrogarsi sul colonialismo. Si può farlo in forma di film politico o di pamphlet. E si può farlo sotto forma di film di poesia che racchiude però al suo interno la questione politica: è il caso per esempio di Miguel Gomes, anche lui tra le figure centrali del cinema contemporaneo con film come Tabù (opera onirica sulle tragedie della colonizzazione purtroppo ancora inedita in Italia) e il trittico-capolavoro Le mille e una notte (ancora in corso di distribuzione in Italia), che denuncia una sorta di colonizzazione del Portogallo da parte dei poteri forti tedeschi e della tecnocrazia internazionale.

E il cinema portoghese è l’unico in Europa, malgrado le sue disavventure con i politici che cercano di neutralizzarlo, a legarsi con i migliori esempi del cinema d’autore più profondo e innovativo, in modo simile a quello orientale del tailandese palma d’oro Apichatpong Weerasethakul e del filippino Lav Diaz (un habitué di Locarno ora rubato da Venezia, dove presenterà il nuovo film). Mentre il resto del cinema europeo non sembra fare altrettanto, tranne per alcuni film di coraggiosi registi francesi originari delle ex colonie.

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Correspondências, quinto lungometraggio di Rita Azevedo Gomes, nasce da un dialogo epistolare tra un poeta portoghese, autoesiliato prima in Brasile e poi negli Stati Uniti, e una poeta rimasta in Portogallo. La distanza tra due paesi, l’ex colonizzatore e l’ex colonizzato, che hanno conosciuto entrambi la privazione della libertà per poi ritrovarla, crea l’occasione per due grandi letterati di mettersi allo specchio l’uno dell’altra e di constatare che la vera libertà è nello spirito.

Vortice d’immagini e parole

Il primo, Jorge de Sena, è tra le più significative figure della letteratura e della critica letteraria portoghese e non ha mai rivisto la sua patria, la seconda, Sophia de Mello Breyner, è stata una poeta di spicco, morta nel 2004. Quello da loro intessuto è un lungo dialogo all’insegna della riscoperta del senso della poesia e del senso della memoria, due elementi che qui diventano inestricabili, in un arco di tempo che va dal 1959 al 1978, anno della scomparsa di de Sena.

Film commovente di resurrezione per via onirica, fatto della stessa consistenza dei filmati casalinghi in super 8, Correspondências racchiude un corpo di visioni ibride perfettamente amalgamate tra loro, a loro volta in perfetta osmosi con le parole di poesia pronunciate. Se il film entra anche all’interno di quello che fu il fascismo salazariano, non è meno preciso nel disintegrare l’immaginario iconografico turistico, con parole precise quanto pungenti e con immagini seducenti messe velocemente in corto circuito, come quelle del 1971 a Città del Messico, esprimendo così quanto il colonialismo si sia nutrito e sostenuto di quest’immaginario.

In questo vortice d’immagini e parole, certe dissertazioni, se messe in relazione con l’intero film, prendono una risonanza più profonda di altre. Sono parole che riportiamo con qualche perdonabile imprecisione. “L’intensità del vuoto e l’intensità della comunione, due elementi contraddittori”, ci fa pensare che è difficile dire se stiamo parlando della poesia o della vita.

“Il mio ricordo più antico è quello di una stanza sul mare con sul tavolo un’enorme mela rossa. Non vi era nulla di fantastico, semplicemente scoprivo il reale”, ci spiega perché l’onirico è già nella realtà e viceversa. Ma soprattutto “La vita sarebbe la lotta d’immagini che non vogliono morire”. Quale miglior epitaffio per un film che non solo non vuole morire ma che pare sognare la resurrezione dell’umanità e della sua antica grandezza?

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