30 gennaio 2020 15:02

Quante persone servono per cambiare il mondo? Erica Chenoweth ha 39 anni
ed è una politologa che insegna all’università di Harvard, negli Stati Uniti. Con Maria Stephan, una ricercatrice, ha analizzato i movimenti di protesta tra il 1900 e il 2006 nel mondo. Le due studiose ne hanno censiti 323 e si sono concentrate non tanto sulle ragioni delle proteste, quanto sulla forma e soprattutto sul risultato finale.

Le conclusioni, raccolte nel saggio Why civil resistance works, sono interessanti. In primo luogo, i movimenti non violenti sono due volte più efficaci nel raggiungere gli obiettivi rispetto ai movimenti o alle campagne violente (prima di cominciare lo studio Chenoweth era invece convinta del contrario). La non violenza ha portato a un cambiamento politico nel 53 per cento dei casi, contro il 26 per cento della violenza.

È una questione di dimensioni: i movimenti pacifici riescono a coinvolgere un maggior numero di persone, anche perché ci sono meno ostacoli fisici. Per partecipare a uno sciopero generale, che secondo Chenoweth è il singolo strumento più efficace, non c’è bisogno di essere particolarmente robusti, allenati o addestrati all’uso delle armi.

E questo porta alla seconda scoperta, forse la più sorprendente: quando un movimento non violento arriva a coinvolgere in modo attivo il 3,5 per cento della popolazione, il successo è garantito e inevitabile. Questa percentuale equivale per esempio negli Stati Uniti a 11 milioni di persone, in Italia a 2,1 milioni, nel Regno Unito o in Francia a pochi di più. Nessun movimento ha mai fallito dopo aver raggiunto quella percentuale di coinvolgimento, tanto che Chenoweth l’ha definita “la regola del 3,5”.

La studiosa sta estendendo la ricerca ad altri periodi, arrivando fino ai giorni nostri. E anche se il suo studio è uscito qualche anno fa, se n’è parlato molto in queste settimane di grandi mobilitazioni popolari in giro per il mondo.

Questo articolo è uscito sul numero1343 di Internazionale. Compra questo numero|Abbonati

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