06 giugno 2013 16:00

**Riccardo Colombo e Vincenzo Comito, *L’Ilva di Taranto e cosa farne ***

Edizioni dell’Asino, 100 pagine, 10 euro

L’Ilva di Taranto è un ginepraio tipicamente italiano. Chiuderla immediatamente non si può. Non solo si toglierebbe il lavoro a moltissime persone, ma si lascerebbe a lungo intatto un impianto che ha bisogno di una radicale bonifica. Tenerla così com’è, d’altra parte, è altrettanto impossibile; non solo perché continua a provocare gravissimi danni ambientali, ma anche perché, come si dimostra in questo rapporto, il gruppo Riva non ha voluto adottare né potrà verosimilmente promuovere in futuro investimenti adeguati a ristrutturare la produzione, competere con la concorrenza e dunque garantire lavoro nei prossimi anni.

L’unica cosa certa è che questo gruppo industriale e la politica che a Taranto l’ha sostenuto hanno fatto insieme danni enormi: i primi infischiandosene dell’impatto ambientale, mentre nel resto del mondo le altre industrie siderurgiche andavano studiando e applicando soluzioni alternative, la seconda consentendo questo andazzo, speculando su corruzione e consenso.

Oggi, a leggere il rapporto, sembra che le soluzioni per invertire la rotta ci siano e siano anche chiare. Il problema è che costano molto. Distribuire tali costi è un problema politico. Bisognerebbe dunque che i magistrati non fossero i soli chiamati a riflettere su chi debba pagare, e come.

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