05 maggio 2011 00:00

Luiz Ruffato, Sono stato a Lisbona e ho pensato a te

La Nuova Frontiera, 94 pagine, 12,00 euro

Ruffato dice di aver registrato questa storia dalla voce del protagonista, e sicuramente è vero. Ma il modo in cui ha trascritto e rielaborato il racconto è quello di un vero scrittore (questo testo breve e intensissimo ci ricorda il Pasolini di Ragazzi di vita o le invenzioni di Lucentini in Notizie dagli scavi). Questa lettura ci rinvia a un’epoca lontana dell’Italia e delle nostre lettere. Ad anni in cui le “storie di vita” erano cercate e proposte da grandi autori e c’erano storie italiane picare e forti vissute da un popolo povero e avventuroso per necessità.

Il racconto in prima persona di Serginho che da Cataguases (Minas Gerais, Brasile) lascia tutto e va a cercar fortuna come cameriere a Lisbona – due luoghi per le due parti della storia – è pieno di incontri e di continue e felici digressioni, nella simpatia della voce narrante e nel suo flusso instancabile, e lumpen e proletario: un mondo dove ogni figura è perfettamente ritagliata e descritta perché è un vero scrittore a esplorarlo, padrone di una lingua appresa nell’ascolto, una lingua che è stato eroico tradurre (l’ha fatto Gian Luigi De Rosa) anche se a costo della perdita di qualche smalto. Per il tramite di Serginho ci si accosta alle migliaia di vite simili alla sua di immigrati oggi e qui, che non hanno ancora trovato i loro Ruffato.

Internazionale, numero 896, 6 maggio 2011

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