22 settembre 2011 00:00

**Carlo Bernari, Tre operai

Marsilio, 208 pagine, 12,50 euro

Edito nel 1934, quando l’autore aveva 25 anni, è uno dei romanzi più sorprendenti di una stagione dominata dall’evasività imposta dal regime, quando i migliori potevano dire solo ciò che non erano.

L’influenza del cinema francese, della letteratura di Weimar e di una nascente, sotterranea voga psicanalitica è forte ed evidente nel cupo girovagare di un operaio, Teodoro, tra la sua Napoli di periferia e Taranto, Crotone, Roma, la guerra, il dopoguerra, gli scontri politici (si parla apertamente dell’occupazione delle fabbriche del 1921, degli scontri tra socialisti e comunisti, dell’amarezza della sconfitta).

Incombe su queste vite (anche femminili, con i bei personaggi di Anna e della sorella, non meno perdenti di quelli maschili) un destino grigio e pesante: l’agitarsi irrequieto di Teodoro non può dar costrutto, trovare senso e direzione. Tre operai ebbe i suoi guai con la censura ed è un romanzo datato, ma è anche questo il suo pregio, nella sua grande originalità.

Bernari ha scritto molto, dopo la guerra, tra neorealista e con ambizioni epico-morali , ma nulla di così insolito e interessante. Il suo romanzo compare in una collana che si affianca a quella di Isbn nel riproporre i romanzi del novecento che meritano di essere letti anche da quei giovani scrittori che, ricordava Flaiano, si fanno una cultura leggendo i propri articoli.

Internazionale, numero 916, 23 settembre 2011

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