18 novembre 2015 17:16

Sono orgoglioso di essere francese, pertanto sono sconvolto quanto chiunque altro dopo i fatti di Parigi. Ma non sono né scioccato né incredulo. Conosco i jihadisti dello Stato islamico (Is), mi hanno tenuto in ostaggio per dieci mesi e so per certo che il nostro dolore, il nostro strazio, le nostre speranze, le nostre vite non gli interessano. Il loro è un mondo a parte.

La maggior parte delle persone li conosce solo per i loro materiali di propaganda, ma io ho visto cosa c’è dietro. Quando ero prigioniero, ne ho incontrati diversi, compreso Mohammed Emwazi: “Jihadi John” era uno dei miei carcerieri. Mi aveva soprannominato Pelato.

Ancora oggi a volte chatto con loro sui social network e posso garantirvi che gran parte di ciò che voi pensate di loro è il risultato del loro lavoro di marketing e pubbliche relazioni. Si presentano come supereroi, ma lontani dalle telecamere sono piuttosto patetici: ragazzi di strada ubriachi di ideologia e potere. In Francia abbiamo un modo di dire: stupidi e cattivi. Io li ho più trovati stupidi che cattivi. Ma non significa sottovalutare il potenziale omicida della stupidità.

Totale indottrinamento

Tutti quelli decapitati nel 2014 sono stati miei compagni di cella, e i miei carcerieri si divertivano a torturarci psicologicamente dicendoci un giorno che saremmo stati liberati, per poi dirci due settimane dopo: “Domani uccideremo uno di voi”. Le prime volte gli abbiamo creduto, poi però abbiamo capito che raccontavano balle per divertirsi a nostre spese.

Inscenavano esecuzioni finte. Una volta con me hanno usato il cloroformio. Un’altra volta si trattava di una scena di decapitazione. Un gruppo di jihadisti che parlavano francese urlavano: “Vi taglieremo le teste, ve le metteremo sul culo e caricheremo il video su YouTube”. Avevano preso una spada in un negozio di antiquariato.

Ridevano e io stavo al gioco urlando, ma volevano solo divertirsi. Una volta andati via, mi sono voltato verso un altro ostaggio francese e mi sono messo a ridere. Era davvero ridicolo.

Mi ha colpito vedere quanto siano connessi dal punto di vista tecnologico; seguono le notizie in modo ossessivo, ma sempre commentandole attraverso i loro filtri. Sono completamente indottrinati, si aggrappano a teorie cospirative di ogni genere, non ammettono contraddizioni.

Saranno rincuorati da qualsiasi segno di reazione esagerata, di divisione, di paura, di razzismo, di xenofobia

Qualsiasi cosa serve a convincerli di essere sulla via giusta e di essere parte di una specie di processo apocalittico che porterà a uno scontro tra un esercito di musulmani provenienti da tutto il mondo e gli altri, i crociati, i romani. Ai loro occhi tutto ci spinge in quella direzione. Di conseguenza, tutto è una benedizione di Allah.

Dato il loro interesse per le notizie e i social network, noteranno ogni singola reazione al loro assalto omicida a Parigi, e secondo me proprio in questo momento il loro slogan sarà “Stiamo vincendo”. Saranno rincuorati da qualsiasi segno di reazione esagerata, di divisione, di paura, di razzismo, di xenofobia.

Centrale alla loro visione del mondo è la convinzione che le comunità non possono vivere insieme ai musulmani e ogni giorno vanno a caccia di prove a sostegno di quest’idea. Le immagini dei tedeschi che hanno accolto i migranti di sicuro li avranno sconvolti. Coesione, tolleranza: non è ciò che vogliono vedere.

Perché la Francia? Le ragioni sono probabilmente molte, ma penso che abbiano identificato il mio paese come un anello debole in Europa, un luogo in cui è molto facile seminare divisioni. Ecco perché quando mi chiedono come dovremmo reagire, io rispondo che dovremmo agire in modo responsabile.

I bombardamenti peggiorano solo le cose

E invece la nostra risposta saranno le bombe. Non sono un difensore dell’Is. E come potrei? Ma tutto quello che so mi dice che questo è un errore. I bombardamenti saranno vasti, simbolo di una rabbia legittima. A 48 ore dagli attacchi del 13 novembre, degli aerei da combattimento hanno condotto il più spettacolare dei bombardamenti aerei attuati in Siria fino a oggi, lanciando più di venti bombe su Raqqa, una delle roccaforti dell’Is. Forse la vendetta era inevitabile, ma servirebbe una maggiore cautela. Temo che questa reazione non farà che peggiorare una situazione già brutta.

Mentre cerchiamo di distruggere il gruppo Stato islamico, che ne è dei 500mila civili che vivono ancora intrappolati a Raqqa? Che ne è della loro sicurezza? Che ne è della prospettiva reale di trasformarne molti in estremisti, proprio agendo in questo modo? La priorità dovrebbe essere proteggere queste persone, non portare più bombe in Siria. Ci servono no fly zone, spazi aerei chiusi ai russi, al regime, alla coalizione. I siriani hanno bisogno di sicurezza, oppure a loro volta si uniranno in gruppi come l’Is.

Il Canada si è ritirato dalla guerra aerea dopo l’elezione di Justin Trudeau. Vorrei con tutto me stesso che la Francia facesse lo stesso, e la razionalità mi dice che potrebbe accadere. Ma il pragmatismo mi dice che no, non accadrà. Il punto è che siamo in trappola: l’Is ci ha messo in trappola. Sono venuti a Parigi con i kalashnikov, sostenendo di voler mettere fine ai bombardamenti, ma sapendo fin troppo bene che il loro attacco ci avrebbe costretti a continuarli o a intensificare questi attacchi controproducenti. È quello che sta succedendo.

Non c’è alcuna strategia politica né alcun piano per confrontarsi con la comunità araba sunnita

Emwazi ormai è scomparso, ucciso in un raid aereo della coalizione, e la sua morte è stata festeggiata in parlamento. Io non lo piango. Anche lui ha seguito questa strategia del doppio bluff. Dopo aver ucciso il giornalista statunitense James Foley, ha puntato il coltello verso la telecamera e, rivolgendosi alla successiva vittima designata, ha detto: “Obama, devi smetterla di intervenire in Medio Oriente, o lo ucciderò”. Sapeva molto bene quale sarebbe stato il destino dell’ostaggio. Sapeva bene come avrebbero reagito gli statunitensi: altri bombardamenti. È quel che vuole l’Is. Ma dovremmo darglielo?

Cacciare Assad dovrebbe essere la priorità

Sulla crudeltà del gruppo Stato islamico non ci piove. Ma dopo tutto quello che mi è successo, ancora non riesco a pensare che sia l’Is la priorità. A mio modo di vedere, è Bashar al Assad la priorità. Il presidente siriano è responsabile dell’ascesa dell’Is in Siria e finché il suo regime sarà al potere, i jihadisti non potranno essere sconfitti. Né potremo fermare gli attacchi nelle nostre strade. Quando la gente dice “Prima l’Is, poi Assad”, io vi dico di non crederci. Vogliono solo tenere Assad al potere.

In questo momento non c’è alcuna strategia politica né alcun piano per confrontarsi con la comunità araba sunnita. Il gruppo Stato islamico crollerà, ma accadrà per un processo politico. Nel frattempo c’è molto da guadagnare all’indomani di queste atrocità, e la chiave è mantenere cuori forti e resilienti, perché è proprio quello che loro temono più di tutto. Io li conosco: si aspettano i bombardamenti. Ciò che temono è l’unità.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito su The Guardian. Clicca qui per leggere l’originale.

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