Non molto tempo fa Scott Adams, l’autore delle strisce di Dilbert, ha pubblicato un libro a metà tra autobiografia e manuale di autoaiuto, intitolato How to fail at almost everything and still win big, come sbagliare quasi tutto e vincere lo stesso. Onestamente mi è sembrato un po’ irritante. Adams racconta in tono divertito che da giovane aveva trovato una serie di lavori nel settore bancario e in quello delle telecomunicazioni, pur essendo un artista “senza nessuna competenza specifica”. Ma il più delle volte veniva licenziato perché non era abbastanza “diverso”: era troppo bianco e maschio per i suoi capi politicamente corretti.
Chi legge non può fare a meno di chiedersi se il vero motivo non fosse semplicemente che non aveva “nessuna competenza specifica”: è un po’ strano vantarsi allegramente della propria incompetenza per poi dare la colpa a sinistre forze sociali quando si perde il lavoro. Eppure mi piace pensare che riuscirei a individuare una profonda lezione sul comportamento umano anche se venisse da Paul Nuttall dell’United Kingdom independence party, per dirne uno. Quindi mettiamo da parte l’idea di correttezza politica di Adams e ammettiamo che il suo libro contiene un consiglio molto utile: quando cerchiamo di migliorarci – di imparare a fare qualcosa di creativo come disegnare fumetti, o di prendere una buona abitudine come fare regolarmente esercizio fisico – dobbiamo pensare in termini di metodo, non di obiettivi.
Come sanno bene tutti quelli a cui i superiori impongono “obiettivi di rendimento”, dare troppa attenzione ai risultati ha molti lati negativi. Ma Adams ne suggerisce un altro: se consideriamo la vita una serie di traguardi da raggiungere, viviamo “in uno stato di continuo fallimento”. Per definizione, non arriviamo quasi mai al punto che per noi rappresenta il successo. E anche se ci arriviamo, scopriamo di avere perso la molla che ci spingeva, quindi ne cerchiamo un’altra e ricominciamo da capo.
Avere un metodo, invece, significa “fare regolarmente qualcosa che a lungo andare aumenterà le nostre probabilità di essere felici”, indipendentemente dai risultati immediati. Disegnare una vignetta al giorno è un metodo, come anche decidere di fare quotidianamente un po’ di esercizio fisico , piuttosto che prefissarsi un obiettivo come correre una maratona in quattro ore. Un metodo che adesso va molto di moda si chiama No zero days, e consiste semplicemente nel non lasciar passare neanche un giorno senza fare qualcosa, anche minima, in vista di un obiettivo importante.
È vero che in questo modo si perde la sensazione di trionfo che accompagna il raggiungimento di un obiettivo. Inoltre è difficile valutare giorno per giorno se il metodo sta funzionando. Ma il vantaggio è un flusso più regolare di piccoli momenti di felicità: mentre le persone che si pongono obiettivi languiscono in un perenne stato di insoddisfazione, osserva Adams, quelle che scelgono il metodo “hanno successo ogni volta che lo applicano, nel senso che fanno quello che volevano fare”.
Soprattutto, concentrarsi sul metodo significa concentrarsi su qualcosa che possiamo controllare – le nostre azioni – piuttosto che su qualcosa che non possiamo controllare, come l’imprevedibile mondo esterno. Se continuiamo ad applicare il nostro metodo, avremo più possibilità di successo. Se invece perseguiamo un obiettivo, ci sentiremo dei falliti anche quando lo raggiungiamo, e perfino un amante del politicamente corretto come me è in grado di capire che questo è stupido.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
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