02 febbraio 2012 00:00

Secondo un’analisi dei dati Istat sulla forza lavoro, il 50 per cento dei lavoratori con un contratto a tempo determinato ha più di trent’anni. Nel caso delle donne si arriva a più di 35 anni. Quindi il contratto di apprendistato (che si applica solo a chi ha meno di 29 anni) non potrebbe riguardare questi precari. Nel caso dei co.co.co., l’età mediana (cioè l’età al di sopra della quale c’è il 50 per cento dei nuovi ingressi) è ancora più alta.

Il precariato in Italia non è solo legato a un difficile ingresso nel mercato del lavoro, ma anche al fatto che si resta precari a lungo. In ogni caso i contratti di apprendistato e di inserimento (o reinserimento) non possono affrontare efficacemente il precariato, un fenomeno che ormai è esteso anche al di sopra dei 40 anni e interessa persone con lunghe esperienze lavorative.

La riforma del lavoro dovrebbe facilitare anche il reinserimento dei disoccupati che aspettavano il prepensionamento prima della riforma di dicembre. Come dimostra l’esperienza di Austria e Francia, la scelta di far crescere i costi di licenziamento con l’età (invece che in base alla durata del rapporto di lavoro) fa aumentare la disoccupazione tra i lavoratori più anziani. Le imprese tendono a non prendere impegni di lungo periodo con lavoratori vicini all’età del pensionamento.

Riformare ogni nuovo contratto a tempo indeterminato, con tutele gradualmente crescenti in base alla durata dell’impiego, servirà anche a dare opportunità e tutele ai lavoratori bloccati dalla riforma delle pensioni varata dal governo a dicembre.

Internazionale, numero 934, 3 febbraio 2012

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