07 luglio 2010 00:00

“‘E parole ‘e ssape, ma nun ‘e ssape accucchià”: un ironico detto napoletano orienta in una questione che non tocca solo gli studiosi di scienze dell’educazione.

Si tratta di proporre che le scuole d’oggi, operanti in società sempre più complicate e innovative, distinguano e coltivino quel che fuori delle scuole appare rilevante. Si coltivino le conoscenze, il “saper parole”, ciò che tecniche, discipline, scienze accumulano; ma guai se non si formano le abilità, i life skills, le capacità di mettere a frutto le conoscenze in situazioni nuove.

La conoscenza delle parole non basta, suggerisce il detto napoletano: è un prerequisito, ma poi bisogna imparare ad accocchiarle, metterle insieme in situazioni inedite e in modo creativo.

La questione è decisiva per costruire scuole che formino oggi l’intelligenza critica e la coscienza civica di tutte e tutti. Perciò la distinzione, evocata in diversi testi di legge, anche italiani, è rimbalzata fino alla dichiarazione del parlamento europeo (26 novembre 2006) e a un’accurata legge francese del 2005 che impone, dal 2011, prove di verifica del raggiungimento di uno “zoccolo minimo” di competenze indispensabili in uscita dal collège.

Se ne occupano in Francia parlamento e classe politica, con apporti invidiabili di discussioni e approfondimenti, se ne occupano gli ultimi numeri (giugno 2010) dei Cahiers pèdagogiques. Le scuole secondarie non devono dare solo conoscenze disciplinari, che svaporano con il tempo, ma competenze durevoli.

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