Cultura Suoni
Seed of a seed
Haley Heynderickx (Evan Benally Atwood)

Tenendo lo sguardo fisso sullo smartphone possiamo sbarazzarci temporaneamente di un sacco di fastidi, o dimenticare le nostre insicurezze con un podcast allegro o un’app per meditare. Insomma, possiamo evitare tutte le cose sgradevoli che non vogliamo sentire. Essere in contatto con noi stessi e con la natura è la chiave per una vita migliore, o almeno così si dice nel nuovo meraviglioso album della cantautrice dell’Oregon Haley Heynderickx. Ognuno deve capire il suo percorso e non è detto che lei l’abbia capito del tutto, ma almeno nella sua musica il confronto con le emozioni è cruciale. In Seed of a seed i ritmi della natura sono in ogni nota, tutto è connesso. “Farei di tutto per sentire cantare le sequoie”, dice. E nel disco è come se succedesse. A un primo ascolto il lavoro con la chitarra potrebbe sembrare semplice ma è solo perché suona naturale; la complessità degli arrangiamenti si svela ascolto dopo ascolto. Heynderickx è brava in ogni ruolo: cantante, autrice, chitarrista. E con la sua musica ci ricorda che anche da adulti dovremmo dare alle emozioni le attenzioni che meritano.
Ellen Johnson, Paste Magazine

Small changes
Michael Kiwanuka (Marco Grey)

Se c’è mai stato un momento in cui il Regno Unito ha stretto a sé Michael Kiwanuka, un londinese con una voce come quella di Bill Withers, è stato a Glastonbury nel 2024. “Questo è il mio incubo peggiore”, diceva irritato mentre i problemi tecnici condizionavano il suo concerto. Altri avrebbero fatto finta di niente. Kiwanuka, invece, si è dimostrato un uomo normale con un talento insolito che vedeva il suo grande momento andare in pezzi. Ora arriva il suo quarto album, che sposa il calore e la raffinatezza del soul degli anni settanta con lo spirito modesto dell’indie rock anni novanta. Nei nuovi brani il cantautore ricorda quel tizio normale sul palco di Glastonbury. Questo disco è ben definito: i produttori abituali di Kiwanuka, Danger Mouse e Inflo, catturano un suono organico in cui ogni stacco di batteria e ogni riff di chitarra e archi sprizzano vitalità. Ma l’umiltà che contiene, l’idea che Kiwanuka stia ancora cercando di risolvere i suoi problemi, conferisce una profondità maggiore. Lowdown (part 1) è uno dei momenti chiave, un brano acustico sostenuto da un basso fluido e da un organo che ha un tocco folk-rock di fine anni sessanta. Ricorda i trovatori solitari come Gene Clark e Tim Buckley. One and only, invece, è qualcosa che i Led Zeppelin avrebbero potuto inventare in uno dei loro momenti più tranquilli. Small changes è accattivante e pieno di cuore. Four long years mi fa venire in mente The dark end of the street di James Carr, il tipo di ballata tormentata di cui era piena l’America degli anni sessanta.
Will Hodgkinson , The Times

Francesco Zappa: sei  sinfonie

Uno Zappa può nasconderne un altro: nel 1984 uscì un album intitolato Francesco Zappa, dove Frank presentava estratti delle sonate in trio del suo omonimo suonati al synclavier. Molti pensarono a un falso. Invece no: il primo Zappa era nato nel 1717 a Milano e morto all’Aja nel 1803. Dedicate alla memoria di Francisco Balbi, “conte di Sirvela e Santa Clara”, queste sei sinfonie ci sono arrivate tramite un’unica copia conservata alla biblioteca municipale di Bordeaux, in Francia. Corrispondono perfettamente ai canoni italiani del genere negli anni settanta del settecento: tre brevi movimenti (allegro, andante, allegro), un’orchestra standard (oboe, corni, archi e continuo) e un’ambizione più melodica che contrappuntistica, con anche un assolo di violoncello nella sinfonia in re. Dinamica e cantabile, l’interpretazione di Vanni Moretto alla guida di un piccolo ensemble è vivace e impegnata. Valorizza al loro meglio queste piacevoli opere, non molto originali ma sempre fresche.
Simon Corley, Diapason

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1589 - 15 novembre 2024

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